XII Ed. Concorso di scrittura creativa “Il dopoguerra nel racconto dei nonni”: “Pane e marmellata”

XII Ed. Concorso di scrittura creativa “Il dopoguerra nel racconto dei nonni”: “Gli occhi della guerra”
Febbraio 20, 2025

PRIMO PREMIO: alunne Alonzi Martina, Alviani Martina, Baldassarra Giulia, Di Ruscio Ludovica, Favoriti Vera, Gerbino Elisa, Pellegrini Erika, Saccucci Rachele – Classe IIID – Istituto comprensivo Sora 3 – Scuola secondaria di primo grado “Edoardo Facchini” – Docente referente: prof.ssa Claudia Di Piro.

A guerra  finita

si  vuol tornar alla vita,

rialzarsi è dura

ma la speranza è pura.                

Tutto può sembrar complicato…

il coraggio non è mai mancato,

la voglia è tanta…

e il resto non conta. 

Ricordo ancora  il sapore e l’odore del pane e della marmellata…., il gusto e la  fragranza  di quello appena sfornato, unito all’ agro dolce delle visciole. La marmellata era sì solo un velo,  quasi trasparente, ma la gustavo così  che anche le briciole centellinate venivano rese interminabili.  Tanta era la fame e noi bambini attendevamo la domenica per avere il premio: compariva sulla tavola solo per noi un barattolo: era “lei” preparata con cura dalla nonna,seguendo una ricetta tramandata da madre in figlia. Noi gioivamo anche con quel poco.

“E´ pronto!”, una voce si sovrappone ai ricordi di quando ero bambino. Rosa, mia moglie sta preparando la  merenda per i nostri  cari nipotini; i ricordi affollano la mia mente, ma io scuotendo la testa torno al presente e mi avvicino al tavolo. I bambini corrono, ridendo e giocando e quel “caos” armonioso mi riporta indietro di tanti anni, a quando anche io giocavo con i miei fratelli,poi sorrido e affronto il presente. Ci sediamo tutti e cominciamo a mangiare e tra qualche chiacchiera e qualche risata, Gabriele, chiede: “Nonno, nonna, perché non raccontate un po’ la storia di come vi siete conosciuti?”.  Rosa sorridendomi dice: “Alfredo, perché non racconti un po’ ai tuoi nipoti la nostra storia?” I bambini ridacchiando, incuriositi dall’argomento, si mettono comodi  aspettando che inizi …“Va bene, se ci tenete tanto…racconterò tutto, o quasi…”

 Come  un  libro dalle pagine  che il vento sfoglia, la mia mente si apre ai ricordi   e si sofferma su quelli a me più cari….   sento il vociare  di  bimbi, il rumore di passi, il crepitio di freni e poi un rumore secco di sportelli che si aprono per poi richiudersi, odo ancora un fischio e poi lo sbuffo………

Treno della felicità…..della speranza …..dei bambini?”, la denominazione che trasuda di storia vissuta gli è stata data in seguito, ma io allora, provavo solo paura, il mio cuore era  in tumulto e insieme ad altri  bambini salii con l’unica certezza, quella di stare andando via. Mi accomodai su una panca, accanto il finestrino, oltre l’alone provocato dal mio respiro scorgevo la folla salutare, mi colpiva il volto triste delle mamme e quello  dei padri   che cercavano di rincuorare i propri figli. Alzai la mia mano, il mio saluto volò non senza lacrime oltre il vetro, mentre rimase scolpito in me  il cenno di quella della mia mamma, che indelebile raccontava tutto l’amore che solo un genitore può dare. In dono c’era il mio  futuro lontano dagli stenti del presente.  La guerra aveva portato distruzione, la malaria aveva fatto il resto. Mi girai dall’altra parte pensando a ciò che avrei dovuto  affrontare, vita nuova, in una famiglia nuova e in un ambiente nuovo, mi spaventava tutto questo, ma almeno avrei avuto un pasto caldo e non avrei sentito “le ranocchie in pancia” che mi davano il tormento giorno e notte.  

Sarà accolto da persone che” possono”…lo avevo sentito ripetere più volte mentre i miei genitori conversavano, ne avevano parlato a lungo nel buio della notte, lontano apparentemente da chi li potesse ascoltare, ma  io  ero lì con i miei fratelli nell’unica stanza che avevamo,  ero sveglio e  origliavo fingendo di dormire nel mio pagliericcio. 

Ora in quel vagone carico di tante storie, mi ripetevo di continuo….senza dover patire la fame e il freddo…, di  solidarietà si trattava: nel buio della notte fonda, uno spiraglio di luce  si  era aperto….eravamo diretti verso l’Emilia Romagna. Avevo sentito parlare  di questa regione dal maestro, quelle poche volte che avevo potuto frequentare la  scuola; la mia famiglia aveva sette bocche da sfamare  ed io  contribuivo con il mio aiuto, non avevo tempo per altro, c’erano  altre esigenze. Io avevo il compito di tenere puliti la stalla e il pollaio e quello di alzarmi presto per andare a mietere l’erba per nutrire gli animali, a volte andavo ad Avezzano a prendere le patate, una viaggio lungo e a piedi, per i sentieri senza essere scoperti.

Ora vedevo scorrere prati, campi , alberi, vedevo abitazioni e la mia curiosità di bambino si poneva tante domande.

Menicuccio, il nostro padrone, era stato una volta a Bologna e ne aveva parlato bene,  mi aveva fatto  anche vedere una foto di suo nipote, raffigurato mentre ben vestito stava seduto su di una poltrona. Mi aveva colpito  la stanza  sullo sfondo, senza travi al soffitto, con le pareti disegnate con i fiori e non nere e con la muffa come quelle della mia cucina. I miei genitori non possedevano una casa propria, avevano un contratto di mezzadria, eravamo coloni quindi non avevamo nulla e dopo tanto lavoro  giornaliero, dovevamo dare la metà di tutto ciò che si produceva al padrone Menicuccio.

Un uomo avido e arido che non si faceva tanti scrupoli. Anche il bestiame era il suo, ogni sera entrava nella stalla e misurava la pancia delle mucche e  dei vitelli per vedere se avevano mangiato a sufficienza. Avevo sempre paura che ci potesse dire :”Se vi sta bene è così, altrimenti trovate meglio”. A guardarmi intorno, mi chiedevo dove si potesse trovare di meglio.

Nonostante la nostra povertà, lo sapevo, avrei avuto sicuramente nostalgia dei miei affetti, del pianto di Lisetta l’ultima arrivata, delle malefatte di Migliuccio che per accaparrarsi maggiore porzione a tavola finiva con lo schizzare saliva nell’unico piatto centrale in cui si mangiava tutti, delle baruffe con Mariuccio quando andavamo a pescare i granchi nel fosso o cercavamo di prendere di nascosto l’uva dalla vigna del padrone, mi sarebbe mancato anche  Fritz, il mio cane pulcioso. 

Ad un tratto, sentii dei passi e mi misi in allerta, girai il capo verso l’ingresso del vagone e intravidi una ragazzina più o meno della mia stessa età, mi sorrise con un po’ di timidezza e si accomodò davanti a me. La tenda del finestrino oscurava la luce e non mi permetteva di vedere pienamente il  suo viso, lei stessa pareva nascondersi  vergognosa dietro un gioco di ombre, la scostai e  feci in modo che si sedesse più centrale e finalmente  la distinsi, era goffa,  aveva due guance rosa e il nasino a punta,  gli occhi   erano intensi zaffiri  che mi ricordavano la tranquillità della notte.  Passammo i primi 10 minuti in un silenzio assordante, quando mi schiarii la gola e borbottai “Tu come mai ti trovi qui?” lei mi guardò e con voce sommessa disse  “Mio padre è stato rinchiuso in un campo di concentramento, durante la  guerra, purtroppo non è riuscito a sopravvivere, mia mamma è rimasta vedova e senza nemmeno un soldo e adesso ha rinunciato a me perché non poteva mantenermi, ed eccomi qui…” 

Allora dissi “Anch’io ho dovuto rinunciare a qualcosa di importante per me, i miei genitori e non solo, ho lasciato fratelli e sorelle, loro non sono partiti, forse saliranno su un altro treno”. 

Non so il perché ma  le sue parole mi diedero sollievo, le sorrisi e le dissi “Allora ti auguro di rivedere i tuoi cari presto”, era nata una connessione con quella sconosciuta, forse perché entrambi eravamo cresciuti troppo in fretta e la crudeltà degli uomini ci aveva strappato via una parte della nostra vita.

All’improvviso sentimmo una voce cupa, maschile “Bambini e bambine  guardate il paesaggio e le meravigliose campagne, ricoperte da un manto d’oro”. Mi  spostai insieme agli altri e tutti rimanemmo ammaliati dalla bellezza di ciò che si parava dinanzi i nostri occhi.

Io e la mia amica ci guardammo e sorridendo le dissi “Comunque ancora non ci siamo presentati, piacere Alfredo” strinsi la sua mano in un atto affettuoso e cercai di farle l’ occhiolino. Scoppiammo a ridere e finalmente lei rispose in modo più disteso “Piacere, Rosetta” cominciammo a parlare, ridendo e scherzando, in quel momento dimenticai tutto quello che avevo passato, anche se per poco e finalmente trovai su quel treno la mia prima amica. 

Una donna   ci interruppe “Ragazzi, volete qualcosa da mangiare?” Osservammo il cestello stretto nelle  sue mani  e vedemmo tanto ben di Dio: frutta, pane e dolci, ma soprattutto cioccolata fondente e caramelle,  qualcosa però mi colpì particolarmente, la marmellata! 

In  un turbinio tristezza e nostalgia mi assalirono nuovamente e come in un fotogramma,  vidi la nonna e la mamma sorridente  mentre la preparavano  e giravano lentamente il mestolo di legno, sentii il profumo, lo stesso che pervadeva la stanza mescolandosi a quello acre del fumo e mi sentii fiero di essere riuscito tante volte a passarla liscia nell’arrampicarmi sulla pianta delle visciole  di Gnore Menicuccio per procurarle. 

Lo so che non avrei dovuto farlo, ma la fame era tanta che ,una volta in un  campo di cipolle, arrivai perfino a cavarne alcune  e  a mangiarle avidamente.

Rosetta si girò e si accorse della mia tristezza “Che succede?” chiese con un filo di voce, io ignorai la domanda e  dissi “Pane e marmellata, grazie”, la signora ci consegnò  quanto chiesto e  si allontanò. Entrambi gustammo il tutto in un attimo,anche le molliche secche raccogliemmo. Rosetta non  accennò più  a nulla e stemmo in silenzio, assorti ognuno nei propri pensieri.

Il viaggio fu lungo e arrivati a destinazione c’erano tante famiglie ad aspettarci. Uno alla volta fummo destinati  e io e Rosetta ci separammo. La vita da quel momento fu per me più serena, i nuovi genitori mi accolsero e  si dedicarono a me, potei anche andare a scuola. Il mio cuore  si divise così a metà, una parte lo destinai alla nuova famiglia a cui devo molto, l’altra rimase alla mia mamma e al mio papà che  privi di egoismi, pur soffrendo hanno voluto per me ciò che loro non avrebbero mai potuto darmi: permettermi di costruire un futuro migliore.

Ma il destino  aveva ancora qualcosa in serbo per me, non  avrei mai pensato che, anni dopo, rincontrandola ormai donna, quella piccola bambina che mi  aveva strappato il sorriso sul treno  e allietato  il viaggio, sarebbe diventata  la mia compagna di vita.

A quel punto, la voce di Gabriele  incalza “Nonno racconta, racconta ancora!”,” e poi….., ma Rosa interrompe e avvicinandosi al tavolo con un vassoio tra le mani  esclama “Ho preparato pane e marmellata, la merenda vostra preferita!”, mi raccomando alle molliche, non vanno buttate in terra….e soprattutto sprecate.

Alonzi Martina, Alviani Martina, Baldassarra Giulia, Di Ruscio Ludovica, Favoriti Vera, Elisa Gerbino, Pellegrini Erika, Saccucci Rachele

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