SECONDO PREMIO EX AEQUO: alunne Facchini Susanna – Notarantonio Maya (Classe IID) Istituto comprensivo Sora 3 – Scuola secondaria di primo grado “Edoardo Facchini” – Docente referente: prof.ssa Claudia Di Piro.
“Speranza, svegliati! È tardi!”
Ogni mattina la stessa storia. Mi sveglio sempre con le urla di mia madre. Ormai la posso definire una sveglia, per quanto è fastidiosa. Come ogni volta non la ascolterò e rimarrò a letto. Dopotutto a scuola arrivo tardi comunque, perché affrettarsi tanto?
“Speranza!”
E va bene, va bene. Mi alzo.
Un giorno di pausa non si può mai avere. Non bastano i bei voti in ogni materia. Devo comunque alzarmi e andare a faticare in quella specie di “prigione…” Ma tanto è inutile discutere con una persona come mia madre: lei, “Miss Perfezione”, pretende che ogni cosa non sia men che perfetta.
Adesso è meglio prepararsi, se devo andare a scuola preferirei non prendere il mio primo richiamo solo per uno stupido ritardo!
Zaino, cappotto, sciarpa. Esco di casa: “Mamma, io vado!”
“Hai preso tutto? L’acqua? La cartellina?”
“Si, tranquilla, non c’è bisogno di ripetermelo ogni santo giorno!”
Mi incammino verso scuola e davanti casa trovo una bella sorpresina ad aspettarmi: “Auguri!”
È Vittoria, la mia migliore amica. Sempre vestita elegante, all’ultima moda, diversamente da me, che preparandomi in fretta e furia non riesco mai ad abbinare i capi correttamente, o almeno in modo che si possa definire normale. Non riesco proprio a immaginare a che ora si svegli ogni giorno per vestirsi e truccarsi così bene.
Vittoria stringe nelle mani un oggetto insolito, con una forma piuttosto strana. “Questo è per te, benvenuta nell’adolescenza!” In un attimo realizzo che oggi, apparentemente un giorno monotono e uguale a ogni altro, è il mio tredicesimo compleanno.
“Ma è bellissimo! Vittoria, come sapevi che mi piacciono?” le ho chiesto, al settimo cielo per aver ricevuto un regalo meraviglioso come quello.
“È un segreto” ha risposto, portandosi un dito davanti alla bocca.
Io adoro i prismi. Ne ho di tutti i tipi, ma uno così non l’ho mai visto. Può riflettere un sacco di colori, ma, se lo si guarda davanti, è trasparente e triangolare.
Vittoria riesce sempre a sorprendermi. Le ho nascosto la mia passione, per paura che la ritenesse infantile, ma mi sbagliavo.
“Meglio incamminarsi” mi affretto a dire.
Una volta raggiunto l’affollato cortile della scuola prendiamo posto sulla panchina più vecchia e malandata, anche perché è l’unica sempre, e dico sempre, libera. Chissà perché!
Ecco il suono atroce della campanella. Comincia altro giorno noioso. Sarà meglio rimboccarsi le maniche. Che avranno da ridere gli altri? Sembra che i miei compagni abbiano sempre una gran voglia di venire a scuola, e non capisco proprio perché. Mi avvio lentamente, la mia intenzione è entrare il più tardi possibile.
Ma forse ho atteso troppo, sono già tutti in classe.
A prima ora abbiamo matematica e come al solito siamo tutti impegnati nei nostri affari e ignoriamo completamente la lezione. La professoressa Rossi continua a spiegare nell’indifferenza totale.
La lezione è già di una noia pazzesca, e a peggiorare la situazione c’è il continuo pigolare di Debora e Cinzia. Bisbigliano senza sosta, e anche se non capisco bene quello che dicano, sospetto che mi stiano prendendo in giro. Mi chiamano “Spranzina”, sapendo che mi dà fastidio. Mi chiedo perché i miei genitori non mi abbiano chiamato Emma, Giulia o, che ne so, Sofia.Ora che ci penso, la mamma non mi ha mai voluto spiegare perché mi abbiano dato questo nome. Mi ha sempre detto che un giorno lo avrei scoperto da sola.
Comunque, Debora e Cinzia sono delle vere vipere, sempre pronte a tirare fuori quella loro linguaccia biforcuta. Con loro, persino la professoressa Sartori, l’insegnante più insensibile e crudele della scuola, ha perso ogni speranza. Cioè, non ha perso me, che mi chiamo Speranza. Ha perso la “speranza”. Oh, insomma!
Comunque, pensate solo che la Sartori è soprannominata “tarantola”: se finisci nella sua ragnatela è impossibile scappare. Per tutti, tranne che per Debora e Cinzia: quelle due la passano sempre liscia.
Ho come la sensazione di essermi addormentata. Cinque ore non possono essere passate così in fretta. Intanto solo io ho ancora libri e quaderni gettati alla rinfusa lì sul banco. Mi sbrigo a mettere a posto e me ne torno a casa.
Che strano, oggi per strada non c’è anima viva: forse è perché ho ritardato la mia uscita da scuola. Anche Vittoria si è dileguata. Di solito torniamo a casa facendo un tratto di strada insieme, ma oggi ha detto che aveva da fare.
Quando arrivo, noto un’altra stranezza: davanti casa sono parcheggiate molte macchine, fin troppe.
“Sono tornata!” comunico a mamma. Nessuna risposta.
“Sono tornata!”Ancora niente. Mi comincio a preoccupare.
“Mamma? Ci sei?”
Squilla il telefono. Chi può essere a quest’ora del giorno? In ogni caso, meglio rispondere.
“Pronto?”
“Sorpresa!!!”
Le voci che sento non provengono dal telefono, ma da dietro le mie spalle. Mi giro. Ora mi spiego il trambusto fuori casa. Ci sono propri tutti: zii, cugini, nonni e anche Vittoria. Ecco qual era il suo impegno. Non mi aspettavo proprio una festa a sorpresa, mi viene quasi da piangere, ma non lo farò, non in un giorno così importante.
La festa procede senza intoppi. Io, Vittoria e i miei cugini continuiamo a giocare a Twister. Ogni tanto mangiamo i biscotti che ci ha preparato mamma, come sempre deliziosi.
“Speranza, perché non vieni ad aprire i regali?” mi sollecita mamma.
È già ora dei regali? Incredibile come passa in fretta il tempo quando ci si diverte. “Arrivo!”
Ci fiondiamo in salone, dove ci stanno aspettando tutti. Sono agitata, non vedo l’ora di scoprire cosa mi hanno regalato. Scarto eccitata ogni pacchetto, e rimango sorpresa nel vedere che, nascosto sotto le cartacce, ce ne è ancora uno.
È un vecchio cofanetto. Sembra fragile, ma ha un che di solenne e maestoso. Ha una forma rettangolare, con gli spigoli ormai erosi dal tempo. Si vede che ne ha passate di tutti i colori prima di arrivare a me e, oltre gli spigoli, le sue decorazioni antiche e rovinate ne sono la prova. Una cosa che subito mi salta all’occhio è un lungo numero inciso perfettamente al centro: 283.339. Non capisco bene cosa voglia significare, ma ho come la sensazione che lo scoprirò presto.
“È da parte di nonno Rocco” precisa improvvisamente mamma. “Mi ha chiesto di dartelo in punto di morte, non appena avessi raggiunto l’età di tredici anni,”
Non vedo l’ora di scoprire cosa nasconde, specialmente dopo ciò che ha detto mamma. Esito un attimo, un attimo che sembri durare un’eternità, ma alla fine mi decido ad aprirlo.
Iniziamo male. La prima cosa che vedo è la foto di mio nonno. Mi si frammenta il cuore. Che peccato non averlo mai conosciuto, Dai racconti di mamma, doveva essere una persona eccezionale.
Nella foto era ancora molto giovane, un uomo alto e magro.
È pettinato a dovere, e indossa il solito cardigan, presente in quasi tutte le sue foto. La sua espressione serafica, anche se non molto sorridente, mi trasmette tranquillità e serenità.
Tra gli altri oggetti ammassati nella scatolina, una cosa attira particolarmente la mia attenzione: è di nuovo quello strano numero. Stavolta però, inciso su una specie di medaglietta. Invece, lo strano documento collegato a questa e scritto su carta logora e ingiallita dal tempo, sembra poter rispondere a tutti i mie dubbi:
“Numero del prigioniero: 283.339
Nome: Rocco
Cognome: Carbone”
C’è scritto proprio così. Mio nonno era stato un prigioniero di guerra. La collanina e il documento, invece, dovevano essere gli oggetti che servivano agli inglesi per identificarlo.
Rimango sconvolta, ma continuo a esplorare tra tutti quei ricordi. Mi ritrovo tra le mani qualcosa che ha tutta l’aria di essere una ricetta, anche se, a causa della scrittura, non si riesce a decifrare ciò che ci sia scritto, così chiedo a mamma se è in grado di farlo.
“Posso provarci” mi rassicura lei. “Vediamo… ‘Innanzitutto 80 ml d’acqua. 50 ml di olio di semi. 25 g di zucchero. Un pizzico di sale e cannella. E farina…’ credo ci sia scritto ‘quanto basta’. Non era poi così difficile.”
Proprio in quel momento, mentre sto divorando un biscotto, capisco che mamma ha appena letto la ricetta di quei biscotti!
“Ecco da dove l’avevo presa!” esclama lei realizzando la stessa cosa.
Continuo a scorrere tra i fogli e trovo un libretto intitolato “Libro delle preghiere”. Dalle sue pagine mi scivolano tra le mani dei santini. Sono tutti molto rovinati, ma tre si sono conservati meglio: San Domenico Abate, San Rocco e la Madonna della Civita. Sul foglietto è rappresentata la santa con i palmi rivolti verso il cielo. Mamma mi ha parlato molto di lei, sembra che nonno le fosse particolarmente devoto.
Sto per chiudere il cofanetto, quando mi accorgo che sul fondo c’è una breve lettera. Anche in questo caso la scrittura è indecifrabile, mi sforzo di leggere.
“Cara nipotina, sono tuo nonno, Rocco. Sicuramente mi avrai già conosciuto tramite le storie di tua nonna, spero rimasta bella e dolce come sempre, e di tua madre, ma ti sei mai chiesta come mai ti chiami proprio Speranza? Dopo aver vissuto la guerra, ho capito che la pace può vincere persino sulle sue crudeltà, basta crederci e avere fiducia. Spero che queste poche parole ti aiutino sempre e ti prego di non farmene una colpa per il nome che ti ritrovi. Piuttosto, in ogni situazione, qualunque cosa dovesse capitare, ricorda di non perdere mai la… Speranza.”
Calde lacrime cominciano a scorrermi sul viso. Non ho mai voluto così tanto bene a nonno come in quel momento, mi sono sentita molto più vicina a lui, è come se lo avessi conosciuto meglio.
Ora adoro il mio nome come ogni altra parte di me, perché è stato il nonno a sceglierlo. Da oggi in poi, lo porterò a testa alta, nel ricordo di colui che non ha mai perso la speranza, sapendo che un giorno sarebbe tornato a Sora e avrebbe raccontato a tutti la sua storia.
Grazie nonno Rocco.
Facchini Susanna, Notarantonio Maya