SECONDO PREMIO EX AEQUO: alunna Cellupica Giorgia (Classe IIIE) – Istituto comprensivo Sora 3 – Scuola secondaria di primo grado “Edoardo Facchini” – Docente referente: prof.ssa Rita Nicoletti.
“Mia cara nipote, siediti qui vicino a me. Voglio raccontarti una storia che non leggerai nei libri, ma che vive ancora nelcuore di chi l’ha vissuta. Era il 1944 e il mondo sembrava impazzito. Io avevo la tua età, una ragazzina appena tredicenne, ma ricordo tutto come fosse ieri. Vivevamo in un piccolo paese alle pendici di Montecassino. Il monastero era imponente e dominava la valle dall’alto, come se vegliasse su di noi. L’abbazia di Montecassino: per noi era un luogo sacro di pace e di preghiera, ma durante la guerra la pace era un sogno lontano.
Gli alleati e i tedeschi combattevano senza tregua: Montecassino era un punto strategico.
All’inizio la popolazione cercava di restare nelle proprie case, sperando che la guerra passasse senza lasciare cicatriciprofonde. Ma quando iniziarono i bombardamenti…tutto cambiò. Ricordo ancora il rombo degli aerei, il suono delle bombe che cadevano e poi il silenzio…quel silenzio terribile, rotto solo dai lamenti e dai pianti. Un giorno il cielo era pieno di fumo e il monastero, quel simbolo di eternità, fu ridotto in macerie…un colpo al cuore per noi tutti. Qualche settimana dopo anche la nostra casa fu colpita e dovemmo fuggire, lasciare tutto. Ci rifugiammo in una grotta io, i miei genitori e mio fratello. Lì dentro era buio, freddo e avevamo così fame che a volte ci dividevamo un pezzo di pane duro in quattro parti. Ma almeno eravamo vivi. Una sera, quando il rombo delle bombe era cessato mi recai con mia madre nel bosco a cercare legna per il fuoco. Camminavamo piano, con il cuore che batteva forte. Ad un tratto vedemmo un uomo seduto su una pietra. Aveva il volto sporco di terra, i vestiti stracciati e gli occhi pieni di così tante emozioni da risultare indecifrabili. Quando ci vide si alzò di scatto, quasi spaventato. La tua bisnonna mi fece segno di restareindietro, ma poi si avvicinò a lui lentamente. “Hai bisogno di qualcosa?” Gli chiese con voce calma, anche se so che dentro tremava come una foglia. Lui in un italiano stentato, disse: “Non so dove andare. Non voglio combattere più. Sono scappato.”
Era scappato dalla guerra, tesoro mio. Aveva lasciato il suo battaglione, abbandonato il fronte. Non sembrava cattivo, sembrava solo un uomo disperato. La tua bisnonna lo guardò a lungo e poi senza dire nulla, tirò fuori un pezzo di pane dalla tasca e glielo porse. Lui lo prese con mani tremanti e cominciò a mangiarlo piano, quasi con vergogna. Mentre mangiava ci raccontò qualcosa di sé. Era un soldato tedesco, un soldato che non voleva più combattere.
Diceva che non era mai stato un soldato, solo un contadino, un ragazzo preso e mandato al fronte contro la sua volontà. Era scappato perché non sopportava più di vedere la morte, ma non sapeva cosa fare. “Non posso tornare a casa” disse “se torno mi uccideranno per diserzione. Se resto qui morirò comunque”. Io lo guardavo e non capivo tutto quello che diceva, ma capivo il suo dolore. Alla fine la tua bisnonna gli disse: “Vai verso sud. Ci sono gli alleati. Loro non ti uccideranno. Ti prenderanno prigioniero, ma almeno sarai vivo”. Lui annuì sorridendo a quella speranza.
Prima di andare, ci chiese il nostro nome, ma la tua bisnonna scosse la testa, poi si tolse la sua sciarpa di lana grigia dal collo e gliela porse: “Non importa chi siamo -disse- prendi questa e fa’ buon viaggio!”
Gli occhi indecifrabili di quell’uomo, occhi prima carichi di guerra e di paura, ora palpitanti di speranza e gratitudine ci fissarono a lungo prima di abbandonarci.
“Vai – bisbigliò sottovoce la tua bisnonna – e non farti prendere”.
Lo vedemmo allontanarsi lentamente. Non so che fine abbia fatto, se sia sopravvissuto. Ma quella sera mentre tornavamo al nostro rifugio, mia madre mi disse “Ricorda sempre figlia mia la guerra rende tutti poveri e soli, ma non dobbiamo permetterle di privarci dell’umanità”.
Quel giorno, anche in mezzo a tutto quell’orrore, abbiamo fatto qualcosa di buono per un uomo che aveva perso tutto, persino se stesso. Vedi tesoro, la guerra ti insegna a capire il valore delle piccole cose: un pezzo di pane, un gestogentile, un giorno di pace. Per questo ti ho raccontato questa storia, perché non debba mai dimenticare quanto la pace sia preziosa”.
Rimanemmo in silenzio con gli occhi lucidi, riflettendo su quella storia di coraggio e di speranza. E io quelle parole non le ho mai dimenticate.
Giorgia Cellupica