XII Ed. Concorso di scrittura creativa “Il dopoguerra nel racconto dei nonni”: “Da una ricerca ad una pagina di storia”

Cultura al potere
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XII Ed. Concorso di scrittura creativa “Il dopoguerra nel racconto dei nonni”: “Il cofanetto di Speranza”
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TERZO PREMIO: alunne Claudia Sangermano (Classe IID) e Chiara Porretta (classe IIE) – Istituto comprensivo Sora 3 – Scuola secondaria di primo grado “Edoardo Facchini” – Docenti referenti: prof.sse Claudia Di Piro e Rita Nicoletti.

-Quindi, bambini, per domani fate una bella ricerca sul dopoguerra-

Poi la maestra chiuse il libro, la campanella suonò e finalmente gli alunni con gioia  e stanchi della giornata trascorsa uscirono. 

Quel giorno il piccolo John  si sarebbe dovuto recare dai nonni per mangiare, come ogni giovedì.

– Quali compiti hai per domani? – gli chiese nonno Paolo a tavola, mentre nonna Dina sfornava l’ultima teglia di lasagna.

-Una ricerca sul dopoguerra… ma con quale voglia?-

-Quanto sei pigro! Ti aiuto io, tranquillo.

Due minuti dopo, nonno e nipote erano di fronte alla scrivania.

-Prima di tutto…-

– La guerra è finita e vissero tutti felici e contenti! Ho finito. Grazie dell’aiuto.-

Nonnaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa, che c’è per merenda?

-No. No. No. Non hai finito un bel niente. Non vissero tutti felici e contenti. O almeno, non subito subito.-

E’ stato molto difficile ricominciare tutto da capo. Si, finalmente eravamo liberi, ma ancora era tutto da sistemare… La città era distrutta, sembrava fosse passato un tornado. Ma te lo assicuro, era meglio un tornado che una bomba. Molto meglio! Strade e palazzi erano in condizioni inguardabili. Ho sempre creduto che fossero sempre stati così, ma per questo c’è un motivo che ti spiegherò più tardi. Pensavo che quel mondo distrutto e in rovina fosse la normalità. Pensavo anche che fosse  normale che la gente fosse  triste e piangesse. Si, per me era tutto normale. Praticamente non c’era motivo per essere felici.

– La maestra ci ha detto di parlare delle condizioni economiche… erano buone?-

-Macché! I prezzi erano aumentati tantissimo. Erano saliti come un ascensore che va all’ultimo piano. E poi, non è che potevamo permetterci molto. Anzi, quasi niente. Per essere felici ci bastava avere un pezzo di pane e qualche centesimo.-

-E tu, eri piccolo negli anni della guerra?

– Beh… è questo il bello della storia, io sono nato il 1 Settembre del 1939 proprio il giorno in cui la seconda guerra mondiale cominciò. Molte volte mi hanno anche preso in giro per questo fatto e tutti credevano che fossi una disgrazia.

Mentre il nonno parlava, gli scese una lacrima sulla guancia.

-Tornando alla tua ricerca. Stai prendendo appunti veeero?-

-Siiiiii nonno, dai continua il racconto era interessante!-dicevo, io avevo due desideri: il primo era che la guerra finisse e il secondo di andare a scuola e “ai miei tempi” dovevo iniziare le elementari. Tutto era triste e deprimente finché un giorno la radio del centro della città fece un annuncio particolare: ascoltate tutti, Edizione straordinaria, miei cari cittadini oggi finisce la guerra, ripeto finisce la guerra.

Nessuno ci credeva.

Cani che abbaiavano, voci che si sovrapponevano, signore di mezza età affacciate alla finestra che discutevano fra loro… era aria di festa ma soprattutto di cambiamenti. Le strade brulicavano di persone: chi ballava, chi urlava, chi andava a dirlo ai parenti , perfino mia madre, sempre triste, era contenta. Mi abbracciò con un sorriso smagliante che non avevo mai visto, speranzosa di un nuovo inizio, persino io un bambino di solamente sei anni avevo capito che quel giorno avrebbe rivoluzionato la mia esistenza e successivamente mia mamma mi disse qualcosa che dopo un mese avrebbe cambiato la mia vita: potevo andare a scuola.

– Perché, avevi voglia di andare a scuola? – chiese il nipotino. – Io proprio non ne ho.

– Beh, nel dopoguerra per me era una fortuna. Potevo incontrare altri bambini, fare amicizia con loro e imparare qualcosa di nuovo che a quei tempi era considerato un lusso.

Comunque, il primo giorno di scuola arrivò. Allora c’era una classe destinata alle femmine, un’altra ai maschi. C’erano banchi e sedie di legno, e…

– Si, parlami della scuola all’epoca, com’era?-

– Molto diversa da quella di oggi. Non c’era lo zaino, ma una cartella di cuoio rigido, nella quale portavo un misero astuccio di legno. Inoltre, indossavamo già il grembiule. Noi maschi lo avevamo blu, con un bel fiocco bianco che mi aveva cucito mia madre. Lo ammetto, era un po’ imperfetto, ma non m’importava nulla. Era il mio primo giorno di scuola dopo tanta sofferenza. Le bambine dell’altra classe, invece, lo avevano bianco, con un fiocco blu. Quindi s’invertivano i colori.

– Scrivevate con la penna?-

– No, nei banchi c’era un foro nel quale c’era un contenitore per l’inchiostro.

– Interessante… Parlami degli insegnanti!

-Dell’insegnante, ce n’era solo uno.-  Conobbi qualcuno dei miei compagni, con i quali, con il passare del tempo, feci anche amicizia. Già dai primi giorni però notai delle divergenze. Avevo un compagno di classe di nazionalità tedesca, Manfred.

– E perché era in Italia?-

– Aveva dei cugini italiani che non aveva mai conosciuto. Durante gli anni della guerra, avevano sofferto molto e la sua famiglia tedesca voleva stare loro vicino e proteggerli.

– Vi trattava con superiorità?-

– No, anzi, era molto simpatico, ma gli altri tendevano ad escluderlo. Infatti, all’intervallo notavo che era sempre da solo e appena provava a fare amicizia con qualcuno, lo respingevano, compreso il maestro. Dato che Manfred era molto intelligente, si ritrovava solitamente ad alzare la mano solamente lui e a voler interagire, ma il maestro diceva sempre: ”Lui no perché è tedesco” e il povero bimbo neanche capiva il perché. I tedeschi infatti erano un po’ associati a coloro che avevano scatenato la guerra, o almeno era quello che si vociferava in città.

– E tu cosa hai fatto?-

– Beh, Manfred era solo un bambino innocente. Non aveva fatto nulla. Per questo un giorno, stufo di tutto ciò, chiesi al maestro il permesso di dire due parole alla classe.

 -Manfred è tedesco, ma non è affatto colpa sua se abbiamo sofferto per la guerra. È nato in Germania, così come noi siamo nati in Italia. All’intervallo giocherò con Manfred.  Chi vuole unirsi a noi è il benvenuto.-

– Sei stato coraggioso, nonno!-

– Sono stato semplicemente leale. Sai che gli Ebrei venivano considerati inferiori dai Tedeschi?

Ecco, la mia classe in quel momento stava considerando inferiore un tedesco che non c’entrava niente.-

Il piccolo John sorrise. Rifletté. Non era stato facile ricominciare da capo. Dalle strade rovinate, ai problemi economici, alle piccole discussioni fra bambini.

 In quel momento arrivò nonna Dina con il panino con la mortadella.

-E’ ora di merendaaaaaaa!!!-

Prima di dare il primo morso al panino, disse al nonno:

– Grazie per il pomeriggio indimenticabile!-

– Di nulla, tesoro! Ultimamente voi giovani trascorrete le ore sui telefonini, sprecando il vostro tempo che potreste utilizzare per conoscere la storia. Noi nonni vogliamo essere il vostro internet. Vogliamo raccontarvi le cose di ieri, per rendere migliore il mondo di domani!

Il piccolo John si sedette a mangiare, soddisfatto del bellissimo e interessante pomeriggio trascorso insieme ai nonni.

Claudia Sangermano, Chiara Porretta

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