Nel 2018 è stata ufficialmente istituita la giornata nazionale del fiocchetto lilla, dedicata ai disturbi del comportamento alimentare, per iniziativa del presidente dell’associazione “Mi nutro di vita”, padre della giovane Giulia morta di bulimia proprio il 15 marzo a soli 17 anni.
In Italia sono oltre tre milioni i ragazzi che soffrono di DCA. Tutti coloro che hanno vissuto queste malattie in prima persona, dopo essere a lungo rimasti nell’isolamento e nel silenzio, si uniscono per dar voce a un coro comune: dai disturbi del comportamento alimentare si può guarire.
Sebbene i social media negli ultimi anni abbiano richiamato l’attenzione su questo tema molto importante, se ne parla sempre troppo poco.
Beatrice Catallo, ex studentessa del liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Sora, ha risposto alle nostre domande riportando la sua testimonianza e la storia della sua guarigione dai DCA.
“All’inizio dei disturbi, che sensazione ti dava rifiutare il cibo e come ti è scattato questo meccanismo?”
Spiegare come la malattia arrivi a muovere i suoi primi passi non è mai semplice, si tratta di un periodo in cui ci si allontana gradualmente e inconsapevolmente dalla propria razionalità, dai propri bisogni e dalla propria natura. Tuttavia, dopo anni di un’efficace ed essenziale terapia sono felice di aver messo luce su quelli che sono stati gli anelli a cui l’anoressia si era legata con forza.
Idea comune è che alla base di tutto non vi sia che il desiderio di essere più magri, quando in realtà non è altro che la punta dell’iceberg. Indubbiamente non ero mai stata né una bambina, né un’adolescente sicura del suo corpo, ma è altrettanto indubbio che si tratta di una condizione comune nell’età della crescita, di cui non è necessaria conseguenza lo svilupparsi della malattia mentale, piuttosto dovuto ad una concatenazione di cause più personali e profonde. Nel mio caso determinate è stata la ricerca di una fantomatica perfezione e di un disperato controllo su me stessa e ciò che mi circondava, che in realtà da sempre mi aveva caratterizzato e che in un momento di estrema fragilità aveva visto nel desiderio di migliorare il mio corpo la possibilità di manifestarsi. È così che da giornate di quarantena passate a svolgere un estenuante esercizio fisico, ero passata, più velocemente di quanto si possa immaginare, a rifiutare gran parte del cibo. A quel punto ad un corpo sempre più debole, tanto che nemmeno più strati di vestiti riuscivano a proteggerlo dai terribili brividi di freddo che provava, si contrapponeva una sensazione di forte onnipotenza. Riuscire a silenziare qualcosa di così naturale e imprescindibile come il bisogno di nutrirsi ti illudeva: eri forte, avevi finalmente il controllo. In realtà era proprio in quel momento che mi era del tutto sfuggito.
“Sul tuo blog (https://cuoriinversi.home.blog/) scrivi “L’anoressia era stata capace di diventare la mia migliore amica”. Quando e come hai capito che il vostro era un rapporto tossico?”
Ho scritto che “l’anoressia è stata capace di diventare la mia migliore amica” perché in poco tempo era diventata colei con cui tutti i miei pensieri si confrontavano. Ne parlo come se fosse una persona perché ricordo, ancora vividamente, che viveva in me con una sua voce, il cui unico obiettivo era rafforzare i pesanti giudizi che rivolgevo a me stessa. Se mi chiedevo se quel giorno avessi mangiato troppo, allora lei non tardava a ripetermi in modo ossessivo che così era stato, che avevo tradito le sue regole e che ci sarebbero state delle conseguenze. Magari all’inizio della sua presenza riuscivi a mantenere una certa lucidità davanti alle sue accuse, ma poi erano talmente costanti che diventavano le tue. Non riuscivi più a distinguere dove iniziassero le sue pretese e dove finissero i tuoi bisogni e la tua libertà, proprio come in una relazione tossica. Come l’ho capito? Chiaramente solo ed esclusivamente grazie all’aiuto di un’equipe di esperti. Non sarò mai abbastanza grata alle loro parole e alle loro capacità per avermi aperto gli occhi verso la strada della salvezza, mi hanno insegnato, passo dopo passo, come risalire dal baratro in cui ero caduta. Anche perché, come è forse più noto nel campo delle relazioni interpersonali, distaccarsi da meccanismi tossici non è mai facile, perché ad essi spesso si accompagna una grande dipendenza. Se ad un certo punto pensi come pensa l’anoressia, allora sarà automatico credere che lasciandola andare perderai anche te stessa, ma fortunatamente non è così, anzi la vera te è lì che soffre perché non vede l’ora di tornare a vivere davvero.
“Molti definiscono le malattie mentali come sinonimo di debolezza e superficialità, cosa pensi a riguardo?”
Credo sia sintomo di una grande ignoranza, soprattutto nel 2024. Basterebbe seguire con attenzione le lezioni al liceo per capire che è l’esatto contrario: le più grandi menti, nei più disparati campi del sapere, erano tanto straordinarie quanto spesso malate. È chi ha il coraggio di guardare nel profondo delle cose e di porsi grandi domande che corre il rischio di lasciarsene travolgere. La sensibilità, che non è altro che una grande forza attrattiva verso il nucleo della vita e di ciò che la compone, è un grande dono, bisogna solo lasciarsi insegnare come gestirne gli effetti collaterali.
“Come stai affrontando ora la vita?”
Grazie per questa domanda, è bellissima ed estremamente importante. Durante il mio percorso verso la guarigione, che non è durato poco, ho spesso sognato di rispondere come sto per fare, ma per molto tempo l’ho creduto impossibile, quindi spero che questa mia testimonianza possa essere d’aiuto per capire che si può guarire dai disturbi alimentari e tornare a sorridere alla vita come forse non lo si era mai fatto. Ad oggi mi abita un’enorme consapevolezza, ciò significa che le mie fragilità non sono scomparse, ma che ho imparato innanzitutto a conoscerle, poi ad amarle ed infine a conviverci. Il cibo ora è un amico, è tornato ad essere un modo per prendersi cura di sé, non solo dal punto di vista fisico, ma soprattutto dal punto di vista emotivo e sociale. Ho smesso di rincorrere quell’inesistente perfezione, ho iniziato a capire che la serenità è il vero obiettivo e che non si nasconde mai troppo lontano, ma anzi nelle piccole cose più vicine a ciascuno di noi. Forse l’insegnamento per cui sono più grata a questo dolore è che se si inizia a vivere, anche puntando a degli obiettivi, ma senza dipendere emotivamente dal loro raggiungimento, quanto piuttosto dalle cose che lo accompagnano, come le persone e le esperienze, allora si può far anche sorridere il cuore nel mentre e, mi spaventa quasi dirlo, il mio ora lo sta facendo.
“Cosa ti preme dire alle persone immerse in questa situazione e a coloro che invece ancora ne sanno molto poco?”
A chi sta soffrendo a causa di queste malattie dico innanzitutto di non aver paura di ammettere a sé stessi di esserci dentro, perché vi assicuro che è più spaventoso perdere la vita convinti che invece si sia riusciti a trovare un modo migliore per affrontarla. Dopodiché correte a chiedere aiuto. So che non è semplice, che non sempre si ha la fortuna di essere circondati da persone abbastanza intelligenti da essere pronte a far fronte a qualcosa di così poco noto come la malattia mentale, ma è vostro diritto tornare a stare a bene. Immaginatevi nel futuro, i vostri progetti, la possibilità di costruire la vostra persona, con le sue spine sicuramente, ma anche con i suoi bellissimi fiori. Combattete per tutto questo, iniziate o continuate a farlo, sempre affiancati da esperti, armati di tutto ciò di cui avete bisogno per reimparare a camminare. Non soffermatevi mai sui giudizi saccenti di chi pensa di capirne qualcosa del “casino” che vi si agita dentro, solo in voi stessi potrete trovare le risposte che vi accompagneranno alla fine del tunnel, basta circondarsi di chi sa porvi le giuste domande.
Il consiglio che ho appena dato mi sento di rivolgerlo anche alle persone più vicine a coloro che soffrono della malattia, soprattutto ai genitori, che facendo parte di una generazione diversa hanno spesso una minore sensibilità rispetto al tema. Non abbiate paura di accettare la malattia, che esattamente come quelle più tipicamente fisiche se attacca non dipende dal paziente e allo stesso modo va curata, né tantomeno di chiedere aiuto per i vostri figli e per voi nell’affrontare tutto questo, ne è della vostra felicità e specialmente della loro vita.
A chi invece non è informato consiglio banalmente di rimediare. Troppe volte mi è capitato di ricevere commenti spiacevoli sul mio corpo, sul mio dimagrimento o sul mio umore, che erano chiaramente il sintomo di una sensibilità generale troppo bassa rispetto alla salute mentale. Siamo in un periodo storico dove i disturbi alimentari e in generale le malattie mentali sono in crescita esponenziale ed è pertanto fondamentale esserne educati, soprattutto in ambienti scolastici, dove non sempre ho trovato la preparazione adeguata.
DCAmolo: per aspera ad astra…
Marta D’Emilia – Classe IIID