“Mens sana in corpore sano”, dicevano i latini. Per uno sviluppo e un mantenimento sano dell’individuo è indispensabile praticare una qualsiasi attività fisica che consenta di mantenere non solo il corpo, ma anche la mente in salute. Lo sport infatti non è solo importante per il fisico, ma è anche uno strumento di inclusione e di integrazione. Per questo è fondamentale garantirlo a tutti. Questo però non è sempre possibile. Capitano eventi nella vita che possono comportare uno sconvolgimento tale da non poter più fare le cose più scontate, e nasce la disabilità.
La parola in sé però è sbagliata, perché significa letteralmente non essere più abile a fare delle cose. Ciò è in parte vero, perché non si è capaci più di farle nel modo in cui si era abituati. Bisogna trovare nuovi strumenti o metodi.
Questo vale per tutto e nel caso specifico per lo sport.
Ebbene sì, anche i disabili hanno diritto allo sport e per fortuna viviamo in un mondo che a ciò dedica molta attenzione.
Ed ecco che nascono i giochi paralimpici, una specie di sottogruppo delle Olimpiadi, ma non meno importanti, perlomeno per chi li fa.
Si potrebbe dire che il gesto atletico è il risultato di uno sforzo ancora maggiore rispetto a quello degli atleti “normali”.
Naturalmente agli atleti disabili spesso mancano alcune parti del corpo necessarie allo svolgimento della gara, ed ecco che viene in soccorso la tecnologia.
Oggi molti ingegneri si dedicano alla ricerca di materiali e software sempre più sofisticati. Gli strumenti alternativi più importanti sono le protesi degli arti, inizialmente costruite in legno, poi in metallo (pesantissime), sostituiti con delle leghe d’alluminio, titanio, e fibre di carbonio.
Questi materiali provengono dall’industria aerospaziale unita alla ricerca nel settore biomeccanico ed hanno di fatto rivoluzionato il mondo dello sport paralimpico.
Esistono carrozzine con delle strutture tali da permettere di fare atletica leggera o tennis o basket, ma quello che, a mio avviso, è più sorprendente sono le protesi. Esse non sono tutte uguali, ognuna è studiata per lo sport a cui è indirizzata, perciò, per esempio, ci sono quelle per l’atletica che si concentrano soprattutto sul piede e sono strutturate in modo che riesca ad accumulare energia e a restituirla. Sono fatte così bene che ne restituiscono circa il 90/95%, mentre un piede normale ne restituisce il 60%; in altri sport, come lo sci o l’arrampicata, l’energia deve essere accumulata durante la flessione e restituita nell’estensione e perciò hanno degli elementi elastici.
E’ stata creata una mano robotica che si collega ad un arto amputato; a Pisa è stata installata una retina artificiale nel bulbo che si connette al nervo ottico restituendo parzialmente la vista; sono state create speciali tavole per il paddle e protesi per sport acquatici.
Questi sono solo alcuni esempi, si potrebbe continuare con un lungo elenco di strumenti che nel tempo stanno diventando sempre più sofisticati.
Ma giungiamo al nodo doloroso: il costo.
Infatti, se è vero che gli strumenti sono sempre più tecnologici, è anche vero che essi non sono per tutti a causa del loro elevato costo. Il risultato è che solo il 10% dei disabili italiani fa sport, perché il nostro sistema sanitario non rimborsa questi ausili.
Questo problema rappresenta un ulteriore handicap per i disabili. E’ una questione che è stata al centro di un dossier preparato dalla Confindustria, dal titolo” sport e disabilità”, e di molte iniziative di persone dello spettacolo.
Quindi, se da un lato la ricerca si propone di restituire una vita normale a chi non ce l’ha, dall’altra la miopia della sanità pubblica che non aiuta i disabili con i rimborsi, li rinchiude ancora di più nella diversità.
Finché lo Stato non comincerà a comprendere l’importanza dello sport anche per persone con difficoltà, rimarrà sempre uno stato arretrato. Il grado di civiltà, infatti, si misura proprio con la cura alla persona e con la volontà di rendere ogni cittadino felice.
Claudio Salerno – III C