Si può misurare la felicità? Dal Pil al Pif

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Il Pil, Prodotto interno lordo, è una misura universalmente riconosciuta che definisce quanta ricchezza monetaria è presente all’interno di un territorio, esso però non basta a misurare il livello di vita in una società complessa.
Puntare gli occhi esclusivamente sul benessere economico non è una verità poi così lontana dalla realtà attuale, la quale, purtroppo, ci sta trasportando nel ciclone di un mondo quasi utopistico e troppo legato alla materia.
In relazione a quanto espresso è bene affermare che a partire dall’ultimo ventennio del Diciannovesimo secolo il matematico irlandese Francis Ysidro Edgeworth aveva progettato un macchinario psicofisico capace di registrare il livello di piacere provato da un individuo: l’edonimetro. È stata un’innovazione meravigliosa che ha dato un’impronta totalmente diversa all’analisi della persona; la quale non avviene più soltanto da un punto di vista prettamente materialistico, altresì viene valorizzato il suo stato fisico, emotivo e psicologico.
L’idea di misurare la felicità resta da sempre una delle più grandi ossessioni di numerosi studiosi. A tal proposito è stato introdotto il Pif, Prodotto Interno di Felicità con lo scopo di misurare anche le attività non regolate dal denaro.
Fu lo psicologo Hadley Cantril nel 1965 a proporre di confrontare tra loro i livelli di felicità nei diversi Paesi. Una nota di colore e di speranza presente nella riflessione e nella ricerca di Cantril è che non necessariamente i paesi più poveri risultino essere meno felici di quelli più ricchi.
In un mondo dove le persone sembrano aver perso la loro sovra- esistenza spirituale in cerca del benessere materiale, il Bhutan diviene per noi un modello da cui trarre ispirazione. Secondo i parametri basati sul Pil, il Bhutan risulterebbe essere una delle nazioni più povere della terra.
Se dal punto di vista economico ha perso dei colpi, allora ne ne ha vinti altrettanti ti per quanto conce il benessere psico-fisico della sua rispettiva popolazione.
 Indubbiamente riconoscere che l’individuo abbia necessità di carattere etico e spirituale è un grande passo nel corso della Storia.
Il miglioramento degli standard di vita deve comprendere il benessere interiore, i valori culturali e la protezione degli ambienti.
È questa la formula della gioia di vivere.
Il paese più felice e saldo del mondo, anche da un punto di vista prettamente economico, è la Danimarca. Un governo stabile con un bassissimo tasso di corruzione, sanità e istruzione di altissima qualità, tasse molto alte sì, ma a fronte di una serie di servizi di prim’ordine. Sono queste le qualità che hanno fatto sì che la Danimarca conquistasse un posto d’onore nella classifica redatta da un organismo delle Nazioni Unite attraverso il Rapporto mondiale della felicità del 2016.
L’Italia compare nella poco ambita posizione di 50esima in classifica, preceduta da Uzbekistan, Nicaragua e Malesia.
Sono dieci i paesi afflitti da un maggiore calo della felicità; tra questi Grecia, Italia e Spagna sono tra i quattro paesi dell’Eurozona più colpiti.
A chiudere la classica dei dieci paesi meno felici del mondo è il Burundi.
I soldi non fanno la felicità; resta solo un proverbio o c’è del vero?
Edoardo Crolla

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