Indubbiamente quest’anno funesto ci ha mostrato quanto poco controllo abbiamo sul futuro, anche se, in fondo, è una cosa che abbiamo sempre saputo. È forse per questo che cerchiamo così tanto di darci stabilità tramite abitudini concrete: desideriamo avere un luogo che chiamiamo casa, un nido pascoliano di amore e protezione; vogliamo avere attorno a noi le persone a cui vogliamo bene ed essere sempre molto certi delle scelte che compiamo, come se potessimo già prevedere che cosa succederà se decidessimo di intraprendere una strada piuttosto che un’altra. Insomma, cerchiamo attivamente situazioni che ci diano l’illusione di avere il controllo, malgrado viviamo in un’epoca in cui ce n’è sempre di meno. Sembra che non ci siano lati positivi, ma in realtà non è così. Riflettendoci, questo periodo “sconvolgente” ci ha mostrato quanto siamo flessibili e quanto questa versatilità possa rivelarsi energizzante. Gli esseri umani sono organismi complicati, costruiti per sopravvivere ed evolversi: è stupefacente quanto siamo riusciti a cambiare le nostre abitudini in poco tempo. All’inizio della pandemia c’era un’ansia sfrenata di mantenere virtualmente il ritmo relazionale dei mesi precedenti alla reclusione, ma poi piano piano anche questo meccanismo si è affievolito. Molti di noi si sono resi conto di chi vorrebbero e di chi non vorrebbero accanto in futuro; altri si sono accorti di essere molto più introspettivi di quanto non credessero. Quello che appare desolante sono le città deserte: vedere le piazze vuote e non riuscire ad immaginare come sarà la vita collettiva nei prossimi mesi. A volte ci sembra che l’essenziale sia effettivamente diventato invisibile agli occhi. Non vogliamo tornare alla normalità, perché la normalità era il problema. La sfida sarà riuscire a costruire un nuovo tipo di città, un luogo più solidale e comunitario, meno basato sull’individualismo e sull’azzeramento degli spazi naturali verdi, che abbiamo visto quanto ci manchino non appena ci vengono tolti. Non sono cose facili quelle che si prospettano, ma sono degli ostacoli che starà a noi risolvere: siamo noi a essere destinati a vivere più a lungo su questo pianeta e a dover immaginare dei nuovi schemi di relazioni e dei nuovi modi di vivere gli spazi che ci circondano. Dell’importanza della libertà un po’ ce ne eravamo dimenticati o forse non l’avevamo mai apprezzata perché, a differenza della generazione dei nostri nonni, nessuno ce l’aveva mai tolta. La libertà è una modulazione, non è mai assoluta, perché la nostra deve amalgamarsi con quella di chi ci circonda. Ora dobbiamo cercare anche dei nuovi modi di essere liberi, senza danneggiare gli altri. Forse da questa tensione può prendere vita un fenomeno di cui si parla poco: la cura, ovvero il momento in cui la nostra libertà giunge al termine perché si addentra nell’altro e dà vita ad un nuovo sentimento, l’affetto. È su tali basi che deve costruirsi il nostro futuro.
Giulia Gabriele