L’ Unione Europea ha dato più volte dimostrazione della sua natura di organizzazione internazionale culturale e sociale, prima che politica, attraverso le numerose e recenti iniziative volte a raggiungere uno stile di vita più sano e sostenibile(tra l’altro, in accordo con gli obiettivi dell’Agenda 2030). In particolare, a fronte dell’elevato numero di decessi registrati per cancro(nel 2020 sono stati 2,7 milioni quelli diagnosticati nell'Unione europea e 1,3 milioni di persone, tra cui oltre 2 000 giovani, hanno perso la vita a causa di questa malattia), l’UE ha deciso di stanziare finanziamenti pari a circa 4 miliardi di euro per il European’s Beating Cancer Plan, finalizzato alla prevenzione efficace dei casi di cancro che, si stima, potrebbero divenire la principale causa di morte tra i cittadini dell’Unione entro il 2035. I punti fondamentali di questa nobile iniziativa sono fondamentalmente legati alla sensibilizzazione della popolazione, per promuovere uno stile di vita più salutare, alla riduzione dell’inquinamento ambientale e al quasi totale azzeramento di prodotti rinomatamente cancerogeni, come le sigarette e l’alcol. Perciò, lo scorso 4 febbraio, giornata mondiale contro il cancro, è stato un vero colpo sapere che erano proprio l’industria vinicola e quella della norcineria ad attentare alla salute dei concittadini dell’Unione(oltretutto, a dieci anni dall’inserimento della dieta mediterranea tra il patrimonio dell’Unesco!). Proprio in occasione della ricorrenza, il dipartimento dell’Europarlamento BECA(Beating Cancer Special Committee) ha proposto di “etichettare” come nocivi per la salute tutti quei prodotti sopra citati, ovvero insaccati, salumi e vini(simboli per antonomasia del Made in Italy) e rilasciare un sistema di bollini concettualmente analogo agli avvisi minatori sui pacchetti di sigarette. Insomma, il salame uccide(e lo stesso, se non peggio, anche con il vino!). Infatti sono le proposte a seguire che, da Bruxelles, spaventano non solo l’Uiv(Unione Italiana Vini), quanto tutti gli esportatori del settore, ovvero ridurre le agevolazioni fiscali per far diminuire la circolazione di questi prodotti: in poche parole, sul tavolo è prevista la revisione della normativa Ue che regola la compravendita dei vini, meno pubblicità online e stop alle stesse campagne di promozione dei prodotti agricoli Ue(perché incitano al consumo). Sono fatti che spaventano, a maggior ragione se si pensa che su circa 48mila produttori italiani di vino, sarebbero ben 45.500 quelli che subirebbero i nuovi carichi fiscali, poiché aventi dimensioni “ridotte”(la produzione annuale non supera i 1000 ettolitri) e “lanciati” quasi esclusivamente sull’esportazione. Inutile dire che il blocco all’export di prodotti vitivinicoli rappresenti un grande ostacolo in aggiunta alle ripercussioni negative sul settore legate al recente lockdown per Covid-19(difficoltà che si ripropone anche per il settore della norcineria). Sono già molte le critiche a sostegno di questo vero e proprio “boicottaggio”, a cominciare dalle proteste tanto della Coldiretti quanto dell’Uiv, che denunciano, oltre alle imposizioni troppo salate per la condizione di recente difficoltà, anche la possibilità che, alla luce delle limitazioni previste(nonostante il proibizionismo americano ci insegni che provvedimenti del genere non vanno a buon fine!), nasca un mercato nero, e, in ultimo, la “demonizzazione” ingiustificata dei prodotti italiani laddove, invece, bisognerebbe intervenire con la sensibilizzazione. Insomma, la strada giusta che l’Ue dovrebbe imboccare è insegnare a consumare con consapevolezza e con moderazione i prodotti di esportazione tipici in cui l’Italia è leader mondiale.
Flavia Di Sano