VIII Ed. Concorso di Scrittura creativa “La mia favola”: La mia bella favola

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VIII Ed. Concorso di Scrittura creativa “La mia favola”: Il mio fantastico viaggio
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TERZO PREMIO: Alunna Cerrone Astrid

Istituto Comprensivo Sora 3 – Scuola media FacchiniClasse IIIA

Docente referente: prof. ssa Pisani Ester

 

Quella trottola di legno che ricordo da quando ho memoria sulla mensola dello studio di mio nonno mi ha sempre incuriosito, tanto da diventare il mio portafortuna. Ce l’ho sempre con me. È grande come una pigna, di legno chiaro, di ulivo, l’ho scoperto solo in seguito; grezza, per niente colorata, ma liscissima al tatto, ora che so la sua storia non mi è mai parsa così bella. La fece il mio bisnonno, Francesco, un falegname di altri tempi. E la mia favola inizia così….

Il giorno del mio compleanno, come da tradizione, si fa qualcosa di speciale. Quest’anno decisi, insieme alla mia famiglia, di fare un’escursione sul Monte San Casto di Sora. Di buon’ora uscii di casa con il mio solito zaino nero, ormai scolorito, con dentro la mia trottola, anzi, glie strummule, così mio nonno la chiama. Ci incamminammo salendo sulla collina. Il sole era tiepido, un po’ pallidino, qualche nuvola macchiava il cielo di bianco. L’erba era umida per la pioggia della sera prima e un odore di primavera vagava timidamente nell’aria. Arrivati in cima, guardammo giù: il fiume Liri si snodava tra il centro abitato e, seguendo il suo percorso, riconobbi Santa Restituta col suo rosone gotico, il ponte di Napoli, con le campate bianche e persino casa mia; poi, tra una risata e l’altra, ci fermammo per una merenda. Il mio disordine proverbiale mi fece rovesciare il contenuto dello zaino sul prato e la trottola uscì fuori.

Dove mai mi avrà portato questa volta? Non posso stare un attimo ferma che mi trovo catapultata in qualche strano posto! Prima al buio e ora tutta questa luce! Ehi, ehi, attenzione, piccolina così mi fai rotolare!” La mia sorellina prese la trottola e ci si mise a giocare. Quando ormai si era stufata di quel piccolo giocattolo, la posò sulla tovaglia della merenda e il pendio fece il resto.

“Oh no, e adesso dove andrò a finire! Astrid, seguimi!” Mi accorsi così che il mio amato portafortuna stava rotolando via. “Divertente… un attimo, questo odore mi è familiare”. La trottola si era fermata sotto un ulivo sulla costa tra San Casto e la Madonna delle Grazie, la chiesetta che sovrasta la cittadina. “Sono a casa! Sembra l’albero che ero, sai, Astrid, sono nata qua, tanti tanti anni fa. La chiesetta era diversa, ora è tutta bianca, ma quando tuo nonno veniva a giocare qui di nascosto era rosata, e quanti bambini correvano tutt’intorno. Sentivo le loro voci schiamazzare, alcuni si arrampicavano su di me, altri più tranquilli negli anni a venire leggevano appoggiati al mio tronco. Poi d’un tratto, un giorno, si scatenarono pioggia e tuoni improvvisi e un fulmine mi colpì in pieno. Che dolore, andai anche a fuoco. Per fortuna, tuo bisnonno mi salvò, non ricordo bene quello che successe, ma mi ritrovai in una bottega piena di trucioli di legno e attrezzi appuntiti. Sentivo ancora l’odore del legno, ma era un odore diverso, più pungente. Mi sentivo diversa, più piccola, alleggerita, avevo un filo blu tutt’intorno. Un bambino dai capelli biondi e irti mi tirò facendomi girare la testa e caddi dal tavolo. Mi ritrovai davanti a uno specchio e …. Ero diventata uno strano aggeggio di legno che girava e girava e girava. Quel bambino è cresciuto, ora ha i capelli bianchi e tu lo conosci bene. Invece io sono sempre uguale!” Già, così nacque la mia trottola, che ripresi finalmente, arrivata sotto quell’ulivo, dalle foglie argentate; ce ne sono diversi anche oggi lungo il sentiero, alcuni hanno un tronco davvero contorto, eppure mi trasmisero un senso di tranquillità che mi fece chiudere gli occhi. “Dai, continuiamo, ti porto un po’ in giro, seguimi”.

Ed ecco che mi ritrovai con la mia trottola in mano giù per il vicolo di Canceglie. Quando ero piccola abitavo a Sora in via Lungoliri e, andando per il Corso, passavo spesso di qui. C’erano i sanpietrini grigi e sconnessi, me li ricordo bene perché una volta ci caddi correndo con mia sorella maggiore Sofia. “Oh, ma quant’ è bello, ora le case sono dipinte! E che bei fiori viola fuori quel portone” Il portone in questione è verde, vicino ce n’è un altro marrone, più grande, con i battocchi in ferro. Sopra, una targa mi ricorda che lì nacque Vittorio De Sica, regista e attore. Confesso non lo conosco, so che è il papà di Cristian. Intanto il sole era uscito da dietro una nuvola e faceva caldo. Posai la mia trottola accanto a una di quelle belle fioriere e presi la bottiglietta dell’acqua dal mio zaino. Non so perché ma quel gesto mi ricordò la calda giornata di agosto quando a Sora si fa la Canicola, gara di corsa cui a tre anni partecipai. O meglio, papà iscrisse anche me perché correva mia sorella che arrivò terza nella categoria della sua età e io corsi con mamma, facendo il giro in tondo dal podio, poi lungo il Corso passando davanti la chiesa di San Bartolomeo, girando infine Lungoliri e rientrando sulla Piazza dove fanno tutt’oggi il mercato di frutta e verdura, per tornare al podio che sistemavano in via Cittadella di fronte alla Pizzeria Tutina.

“Astrid, la conosci la pizza di Tutina, sì?” oh, certo, chi non la conosce a Sora, quei rettangoli stretti, fumanti, croccanti, uno con l’orlo sottile, il mio preferito, l’altro con l’orlo più curvo e spesso; quel profumo inconfondibile di pomodoro con l’origano; la pizza di Tutina, un mito indiscusso. “Sì dai Astrid, prendiamone un pezzo!” la mia trottola mi cadde di nuovo proprio di fronte all’ingresso della pizzeria. Come non seguire il suo consiglio? Il negozio è sempre rimasto uguale, almeno sia io sia mia madre lo ricordiamo così: più basso rispetto alla strada, piccolo e poco illuminato, sulle pareti dipinti gli scorci di Sora e frasi in dialetto che parlano della bontà della pizza. C’era Angelo a servire, gentile e sorridente, mamma lo chiama ragazzo, ma a me non sembra un ragazzo, forse perché ha la sua età e sono stati compagni di scuola. Era bella l’attesa, poi uscì la teglia nera con la pizza fragrante. Angelo la tagliò velocemente e me ne diede un quarto che ancora fumava. Iniziai a mangiare con le dita mezze scottate. Passeggiando, presi il Corso Volsci e la trottola mi suggerì una bella bevuta rinfrescante alla fontana di Piazza Palestro. “Come, come l’hai chiamata? Ma è pizza Salleccone! Tuo nonno qui faceva le sue gare migliori con me, perché devi sapere che quando lui era bambino, tutti avevano uno strummule come me; be’ io sono la migliore trottola sul mercato, mi arrotolava un filo tutt’intorno, che cambiava appena si sfilacciava un po’, poi lo tirava e io giravo giravo più a lungo delle altre trottole. Non puoi immaginare le grida dei bambini a quell’epoca. Adesso tutto è più silenzioso, si sentono solo le macchine che passano, qualche clacson. Ma c’è sempre così poca gente in giro la mattina? La domenica, tanti anni fa, era un via vai di persone, c’era anche il mercato! Donne con i canestri sulla testa venivano a vendere le loro verdure fresche e richiamavano i passanti con le loro voci squillanti, c’è chi vendeva galline e pulcini e si sentivano tanti pigolii provenire da quei piccoli batuffoli gialli stretti stretti in cassette o scatole con i buchi; e non mancava il banchetto che vendeva le ciambelle sorane, quelle rotonde con l’anice, quelle che se cominci a mangiarle non smetti se non la finisci tutta, perché la ciammella calda calda è irresistibile, con la crosta croccante e la mollica compatta”. Oh, cara la mia compagna di viaggio, ma la ciambella c’è ancora, oggi persino nei supermercati; certo, al banchetto del mercato è sempre calda e profumatissima.

Poi, imparai anche che la statua di bronzo di Cesare Baronio viene chiamata Salleccone e tutti conoscono quella piazza col nome di Piazza Salleccone. Mi sono sempre chiesta perché venga chiamata piazza, in realtà è molto piccola, ci parcheggiano le macchine, ma la fontana bianca con la cannella grigia, che da piccola mi sembrava fosse un drago che sputava acqua anziché fuoco, fa uscire un’acqua così fresca che anche nelle giornate più calde ti ristora meglio di qualunque bibita con ghiaccio.

Continuai a passeggiare e ormai vedevo Sora con occhi diversi; mi si slacciò una scarpa questa volta proprio in Piazza Santa Restituta e mi fermai adagiando la trottola sul muretto che costeggia la piazza. Questa sì che lo è, grande, anche se da bambina lo sembrava ancora di più. Adesso non ci sono le palme alte di quando ero piccola. “Le palme alte non me le ricordo, ma ora manca la pavimentazione rossa e bianca dove la tua mamma correva facendo finta che la parte bianca fosse ghiaccio e quella rossa lava”. Sembra che tutto a Sora abbia avuto un altro aspetto e con esso una storia. Spesso lo diamo per scontato, a volte lo leggiamo, ma sentirlo raccontare acquista un altro sapore. Quasi quasi mi sarei messa a giocare a ghiaccio e lava, se non avessi compiuto tredici anni.

Intanto suonò l’orologio, battendo le undici e tre quarti. Dal momento che alle dodici dovevo essere sul Ponte di Napoli, ripresa la trottola dal muretto, affrettai il passo. La tenevo in mano, ma lei, quel giorno proprio non voleva saperne di stare ferma e cadde rotolando di nuovo e per giunta nella direzione opposta a quella che avrei dovuto prendere. Mi fece fermare questa volta all’ingresso della Villa Santa Chiara. “Qui….” E la interruppi subito questa volta. Sulla villa sono preparatissima, ci sono sempre venuta da piccola a giocare sulle altalene sgangherate, che cigolavano, ma né io né Sofia ce ne curavamo e ci spingevamo più forte che mai, con lo stomaco che saliva in gola, i capelli al vento, quando ancora non mi importava di essere spettinata, e le risate che stridevano con i musi lunghi dei bambini che aspettavano che scendessimo. Stavano freschi se non interveniva mamma a dirci che era ora di cambiare gioco. Ricordo ancora le frenate con le scarpe che puntualmente si consumavano in punta, sulla breccia. Si alzava una piccola nuvoletta di polvere bianca che ci faceva diventare le gambe nere e saltavamo giù correndo a chi arrivava per prima allo scivolo. E vai instancabilmente giù. Quella mattina mi fece un po’ strano vedere le altalene senza sedile, inutilizzabili. Lo scivolo, poi, non c’era più. Almeno quello nostro. Vi troneggiava al suo posto un castelletto rosso dove sedute c’erano due ragazze poco più grandi di me a fumare. Mi sedetti su una panchina e notai che si sentiva solo qualche voce arrivare occasionalmente. Certo, non era ancora estate, ma chissà perché i ricordi di quando sei piccola sono sempre più colorati e rumorosi. Mi sentii un po’ nostalgica, ma il giorno del compleanno non si può essere malinconici. E poi, mica non posso riprovare ad andare su un’altalena! Mi ritrovai a sorridere e uscii dal parco che era sicuramente mezzogiorno, perché sentii il cellulare squillare. Avevo un appuntamento con la mia amica Bea sul Ponte di Napoli, lì dove il fiume Liri da piatto e “stirato”, come dicevo da piccola, diventa più mosso e “riccio”. Cercai la trottola, volevo rimetterla nello zaino e affrettarmi, allungai il braccio per farlo e vidi gli occhietti dei miei fratelli che sventagliavano un biglietto di auguri per me che ero in pigiama ancora a letto! Non hai sentito la sveglia? Auguri, dai, dai che sono già le otto! Girai lo sguardo e vidi la mia trottola in bella mostra di sé sulla mensola bianca sopra il mio letto e proprio in quel momento cadde. Ma questa è un’altra storia.

Astrid Cerrone

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Ecco a voi il link per rivivere l’emozione della premiazione avvenuta in diretta radio:

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=1414875845566413&id=316449872075688

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