VIII Ed. Concorso di Scrittura creativa “La mia favola”: Il mio fantastico viaggio

VIII Ed. Concorso di Scrittura creativa “La mia favola”: La mia bella favola
Gennaio 30, 2021
VIII Ed. Concorso di Scrittura creativa “La mia favola”: C’era una volta…a Sora
Gennaio 30, 2021

SECONDO PREMIO ex aequo: Alunno Di Pede Marco

Istituto Comprensivo Sora 3 – Scuola media FacchiniClasse IIC

Docente referente: prof. ssa Nicoletti Rita

 

Era un pomeriggio di primavera, la natura cominciava a risvegliarsi dal sonno dell’inverno e Vincenzo ardeva dal desiderio di trascorrere all’aperto il suo tempo libero.
Vincenzo era un ragazzo di undici anni, impavido, sempre alla ricerca di nuove avventure. Aveva sentito parlare di alcune grotte che si trovavano nella periferia nord della sua città dove erano stati rinvenuti numerosi reperti preistorici.
Un giorno decise di marinare la scuola e, in sella alla sua bicicletta, decise di raggiungere quel luogo misterioso nella speranza di trovare qualcosa.
Aveva sentito raccontare che quelle grotte, non solo avevano ospitato l’uomo di Neanderthal e numerosi animali preistorici, ma erano state anche il rifugio di briganti e di gente comune durante il periodo delle guerre.
Arrivò in una radura circondata da alte querce dalla chioma folta e verdeggiante. Guardandosi intorno, riuscì a vedere l’ingresso di un grotta, ostruito da fitte ragnatele che gli ricordavano il centrino sul tavolo della sala della nonna. Esitò un momento prima di entrare, perché non riusciva a vedere altro che l’oscurità. Prese la torcia che aveva in tasca e, a malincuore, fu costretto a rompere quella meravigliosa opera dei ragni. Non appena superò l’ingresso, tutto intorno a lui era buio, ma, non fece nemmeno in tempo ad accendere la sua torcia, che una luce fortissima lo abbagliò. Il suo cuore iniziò a battere forte, un brivido percorse il suo corpo, ma non era spaventato: sentiva che gli stava per accadere qualcosa di straordinario.
Avvolto da una nuvola di polvere d’oro, ecco apparire davanti ai suoi occhi un maestoso elefante bianco. Emise un barrito così forte che le pareti della grotta tremarono.
“Chi sei?” disse l’elefante, “perché sei qui?”. “Mi chiamo Vincenzo e sono venuto per scoprire e vedere ciò che ho sentito raccontare”. L’elefante allora replicò: “bene, allora preparati ad un viaggio che ricorderai per sempre, restami sempre accanto”. Ad un tratto nella grotta ci fu di nuovo l’oscurità, ma in lontananza s’intravedeva un fuoco. Avanzava in modo cauto una strana tigre con delle zanne. Vincenzo la riconobbe: era una tigre dai denti a sciabola!
“Benvenuto nel nostro villaggio”, disse la tigre, “purtroppo gli umani sono andati via in cerca di luoghi migliori ed hanno lasciato qualche utensile sparso qua e là.” Vincenzo non credeva ai suoi occhi; voltandosi vide pitture parietali con scene di caccia e gli sembrò di avere di fronte la pagina di storia di terza elementare. L’elefante continuò a camminare lentamente e così si introdussero in un altro ambiente cavernoso. Il ragazzo era sempre più stupefatto. Non avrebbe mai immaginato che oltre quel piccolo ingresso buio potesse aprirsi un sistema labirintico di grotte, in ognuna delle quali veniva proiettato in una realtà storica diversa come in un film, realtà fino ad allora presenti solo nei libri di storia o nei racconti popolari.
All’improvviso, dalla proboscide dell’elefante iniziò ad uscire una nebbia fittissima che avvolse completamente Vincenzo, il quale ebbe la sensazione di trovarsi in una palude. Dopo qualche minuto, vide avanzare una fiammella, proprio quella di una lucerna, che lasciava intravedere l’ombra di un uomo.
Era alto, un po’ stempiato e indossava una toga. Udite, udite……..era Cicerone in persona! “Ave” disse. “Benvenuto nella terra un tempo abitata dai Volsci; vieni con me a fare una passeggiata”.
La luce della lucerna, improvvisamente dissolse la nebbia. I due si ritrovarono sulle sponde di un fiume ombreggiate da alti pioppi che Cicerone chiamò Fibrenus. “Quando ho voglia di rilassarmi, godere della natura e sfuggire dal caos di Roma, vengo qui. Sai perché? Voltati.” Vincenzo si voltò ed iniziò a cercare con gli occhi ciò che lo scrittore gli indicava. “Vedi, laggiù, quell’isolotto a forma di becco d’anatra?” “Sì riesco a vederlo, sembra proprio il becco di un uccello” rispose entusiasta il ragazzo. “Prima là sorgeva una piccola casa, quella dei miei nonni. Poi i miei genitori l’hanno ampliata e adornata riccamente. Ora al suo posto sorgono un monastero e una basilica, costruiti da S.Domenico riutilizzando molti pezzi della mia abitazione. Sotto l’altare c’è una cripta bellissima con i resti del Santo.”
Dopo aver scambiato qualche altra parola, Cicerone, salutandolo, se ne andò, con una raccomandazione: “Vincenzo, studia, non giocare sempre alla playstation; solo se conseguirai titoli di studio, ti affermerai nella vita”.
“Non è finita qui” disse poi l’elefante e dai suoi occhi uscì un fascio di luce.
Il ragazzo si ritrovò improvvisamente in una sorta di stalla. Qui c’era un cavallo marrone che stava mangiando beato la sua porzione di biada. Accanto alla sua mangiatoia, sedeva su uno sgabello di legno un vecchietto. Costui indossava un grande mantello nero, un cappello a falda larga e delle strane calzature.
Vincenzo, sorpreso, guardò quei calzari: per la prima volta in vita sua poteva ammirare le “cioce”, calzature tipiche composte da ampie suole di cuoio che avvolgevano il piede e fermate alla gamba con delle stringhe. Fino ad allora, le aveva viste solo sui libri di storia locale o su vecchie cartoline: fantastiche!
“Che begl’ cuccion’, comm t’ chiam’?”, disse l’anziano. Vincenzo riconobbe in quelle parole il modo di parlare di suo nonno e si commosse moltissimo. Con voce tremante disse: “mi chiamo Vincenzo”. “A me, m’ chiam’n’ Facciabella, j port a spass la gent c’gl brecc”, replicò orgoglioso. In effetti ad un lato della stalla, c’era una sorta di carretto, munito di due grandi ruote di ferro, di un piano orizzontale su cui poggiavano due panche di legno: il famoso Breck, una rudimentale carrozza, uno dei mezzi di trasporto più diffusi quando ancora le automobili non circolavano. Facciabella si alzò zoppicando, prese il cavallo per le briglie e legò il finimento al breck. Poi si rivolse al ragazzo e disse: “ Iamm azzecca, t’ port a spass!”
Vincenzo rimase per un attimo senza respiro e con un balzo montò sul carretto. Dopo un percorso di solo pochi metri, Facciabella si fermò davanti ad una chiesa e iniziò a raccontare: “questo è un noto santuario dedicato alla Madonna; qui è stato miracolato un noto cardinale, Cesare Baronio. Ogni anno, l’otto settembre, c’è una grande festa religiosa e popolare. In questo giorno io lavoro tantissimo perché dalla città accorrono in molti. Si viene qui non solo per pregare, ma anche per mangiare; i ristoratori del posto allestiscono panche di legno e servono arrosto (per chi può permetterselo) o la trippetta al sugo. Che bontà! Che profumo nell’aria! Poi c’è anche una grande fiera di bestiame: pecore, maiali, polli, mucche, cavalli…..Anch’io, qui, ho comprato Stella, questa bella cavalla!”
Proseguirono la loro passeggiata costeggiando il fiume. Una dolce brezza accarezzava il viso di Vincenzo che rifletteva sul fatto di come le persone, tanti anni fa, erano felici ugualmente, pur non avendo tutti i confort del suo tempo.
Guardava le acque verdi del fiume e tra la vegetazione vide un’anatra con i suoi piccoli che sguazzavano allegramente. Poco più in là, scorse sulla riva delle donne che si affrettavano a risciacquare la biancheria nelle limpide acque, munite di tinozze con la lisciva, uno strano sapone fatto con la cenere: quanta fatica per lavare i panni. Il pensiero andò a sua madre e alle sue lamentele ogni qualvolta doveva azionare la lavatrice: se solo avesse provato a lavare i panni a mani nude nelle acque del fiume!
Grazie alla sua esperienza di condottiero di breck, Facciabella conosceva tante cose e spesso intratteneva i suoi passeggeri con racconti e notizie. “Vedi questo fiume?” disse “è una ricchezza per la nostra terra. È un fiume nobile perché anche Dante Alighieri lo menziona nella sua Divina Commedia, definendolo verde Liri; poi in un paese vicino fa un salto di circa trenta metri formando una cascata proprio al centro della città.”
Vincenzo ascoltava in silenzio e stupefatto. Passarono davanti a numerose chiese e monumenti. Con Facciabella tutto era gradevole, tutto aveva un significato diverso perché tutto aveva una storia.
Conclusero la loro passeggiata assaporando una calda ciambella, tipica del posto, fatta con pasta di pane ed anice. Fecero ritorno nella stalla, il ragazzo scese dal breck e abbracciò il vecchietto: gli aveva fatto vivere un’esperienza indimenticabile. Si ritrovò nuovamente solo nell’oscurità della grotta. Gli si avvicinò il maestoso elefante i cui occhi brillavano come due diamanti. “Sai Vincenzo cosa faccio io qui? Sono il custode della memoria, il custode del nostro passato”.
Da questa straordinaria esperienza, il ragazzo aveva capito l’importanza della storia della sua gente e di ogni popolo: la storia insegna, è maestra di vita.
Nel corso dei secoli cambiano le cose materiali, ma i sentimenti, i sani principi, i valori, i desideri e anche i fallimenti degli uomini non cambiano mai.

Marco Di Pede

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Ecco a voi il link per rivivere l’emozione della premiazione avvenuta in diretta radio:

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=1414875845566413&id=316449872075688

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