Sono già passati due mesi da quel terribile 25 novembre, che oltre ad essere la giornata contro la
violenza sulle donne, è il giorno in cui è morto il Dio del calcio: Diego Armando Maradona. Aveva
compiuto 60 anni lo scorso ottobre e in quei giorni aveva subito un’operazione al cervello, da cui
però sembrava essersi ripreso. È morto, probabilmente, a causa di una crisi respiratoria.
Diego nella vita si è conquistato tutto da solo: è nato nel 1960 in un quartiere povero e disagiato,
Villa Fiorito, dove non c’era nemmeno l’acqua potabile e doveva andare a riempire lui stesso le
taniche; la famiglia era talmente povera da non potersi permettere nemmeno di comprare da
mangiare o dei nuovi vestiti. Il calcio era il suo pane quotidiano fin da piccolo: egli passava il suo
tempo libero per strada, con altri bambini del suo paese, giocando a pallone. Emersero subito le
sue doti mirabolanti, tanto che venne soprannominato “El pibe de oro”. La sua carriera iniziò
nell’Argentinos Juniors, per poi proseguire nel Boca Juniors, sempre in Argentina. Non fu
convocato dalla nazionale per i mondiali del 1978 perché ritenuto troppo giovane, ma Diego si
rivalse vincendo i campionati giovanili per nazioni. Maradona è stato sempre legato alla sua
famiglia, tant’è che in un’intervista dichiarò: Più importante di tutto, ho potuto finalmente offrire
ai miei questo, riferendosi alla casa affittata sulla spiaggia di Atlantida per i genitori, che fecero la
loro prima vacanza. Anni dopo disse: Io non dimentico le mie origini. Villa Fiorito è sempre il mio
presente, non è il passato. Dispongo di più soldi? Meglio. Prima riesco a sistemare la mia famiglia,
meglio è.
Dopo aver giocato al Boca Juniors, venne acquistato dal Barcellona. Purtroppo giocò pochissime
partite a causa di un bruttissimo infortunio, il più grave della sua carriera. L’avventura successiva
fu quella più importante della sua vita: arrivò a Napoli, città definita da lui stesso una “seconda
casa”, con l’obiettivo di “diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli”. Il calciatore ha toccato
l’apice della sua carriera ai mondiali in Messico del 1986, dove nei quarti di finale con l’Inghilterra
ha realizzato la rete passata alla storia come quella della “mano di Dio” e dopo pochi minuti il gol
del secolo, segnato partendo da centrocampo e dribblando mezza squadra avversaria. Infine, ha
guidato praticamente da solo l'Argentina fino al trionfo contro la Germania Ovest nella finale del
mondiale. Da quel successo Maradona portò ai vertici del calcio europeo anche il Napoli, che vinse
due scudetti, una coppa Italia, una coppa Uefa e una Supercoppa italiana. Il calciatore fu sospeso
due volte dal calcio giocato: la prima volta nel 1991 per uso di cocaina, la seconda nel 1994 per
positività ai test antidoping. Lui stesso dichiarò: Ho sempre rispettato il calcio, non ho mai voltato
le spalle al campo da gioco. Casomai non ho rispettato me stesso, il mio corpo, ma io non voglio
essere un esempio per nessuno. Pep Guardiola nel giorno della morte di Maradona ha affermato:
Ho letto uno striscione un anno fa in Argentina che diceva ‘Non importa cosa hai fatto della tua
vita Diego, ma cosa hai fatto delle nostre’. La sua è una storia travolgente, forse irripetibile, una
storia da raccontare. È giusto che sia raccontata ai posteri come una delle storie più vere,
profonde e significative. È stato un calciatore che è riuscito a far piangere e sognare tutte le
generazioni, quindi è giusto ricordarlo come un campione.
Come ha scritto Vittorio Sgarbi: Maradona è stato per il calcio quello che Caravaggio è stato per
l’arte: inarrivabile.
Asia Gambioli