V Ed. Concorso di Scrittura creativa ” Ti racconto una giornata di festa nel mio paese”:”I ciùsce d’gnora Antnetta”

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TERZO PREMIO

Alunna: Laura Vitale

Istituto Comprensivo Sora 1 –   Scuola Secondaria di I grado G.Rosati- Classe III A

Docente Referente: Daniela Tersigni

La luce entra dalle finestre e si riverbera sul tavolo; mancano tre giorni alla festa di Sant’Antonio Abate. Sto intrecciando gli ultimi cesti di vimini dove mettere i ciùsce da vendere il giorno della festa. Ormai manca poco e in tutta la casa fervono i preparativi. C’è una novità, quest’anno: non ci sarà la “celebrazione delle 40 ore”, che consiste nel raccoglimento in preghiera davanti al Santissimo Sacramento. All’improvviso,mi riporta alla realtà la voce di mio marito che mi chiama -Antneeeeeeee, Antneeeeeeeeee, si wivaaa?- Lui continua a gridare, ma io non gli rispondo; mi alzo dalla sedia e vado in cucina, dove comincio a preparare i tradizionali cecamarini. Mentre mio marito continua a chiamarmi, impasto farina, uova e zucchero; al decimo richiamo mi stanco e gli rispondo arrabbiata – Che wo, Antò? Non se può stà n’attim tranquilli dentr a sta casa- -So pronti i cecamarini?- chiede lui con impazienza. Mentre accendo il gas, gli rispondo- No, Antò, watt a drmì!- Dopo questa esclamazione, finalmente, non sento più risposte. Mentre friggo l’impasto mi ritorna in mente la mia infanzia. La mia famiglia è stata sempre molto devota a questo Santo; mio nonno è stato un apprezzato poeta sorano ed in onore di Sant’Antonè ha scritto un componimento che é un canto di gioia.

“J’S’NETT A SNT’ANTON’”

ch la barba e je baston,

a’ssttate ai sgglon,

ch’c’ajiuta e ch’perdona’.

J’rmita n’ata Abbat

Tutt sant’ d’untatt,

ch’ la sacca ncima alla gobba,

r’portaua tanta robba.

D’cammin’ n’ facueua,

tra le ualle e gl’paes’

p’rntra agl’ comment’,

p’sfama’ gl puergl.

A bon’ora m’ s’o arrzzat’

Era scur e n’ c’ udeua,

le scalett s’azzcchat’,

ch’gl son’ la campana,

la chiesetta era apert’,

ch’ tant luc’ belle e in festa,

ch s’a barba bella e bianca

ass’ttatte t’ so fatt’,

n’ preghiera t’ so fatt’,

ma n’rimprour te’ addenga fa’.

Sant’Ant’,ma Sant’Anto’,ma sant’O Dio,

tu b’niece gl’animali,ma secondo te

ma nu’ chi s’im, e io chi so’! 

 Mentre lui ci leggeva questi versi, accompagnato dai gesti e dalla mimica facciale, noi ridevamo perché divertite da quell’atteggiamento simpatico. Mi distrae dai miei pensieri la consapevolezza di aver finito di friggere. Depongo tutti i dolcetti in un piatto e li ricopro con una spolveratina di zucchero a velo. Mentre metto in ordine le varie pentole, un botto (fuoco d’artificio) richiama la mia attenzione: è il segnale che la festa di Sant’Antone si svolgerà tra qualche giorno. Mi affaccio alla finestra e vedo la collina dove sorge la chiesa di Sant’Antone cominciava ad animarsi; si intravedono anche delle bandiere colorate tra le persone e alcune di loro cominciarono ad allestire la propria “bancarella”. Anche io mi preparo frettolosamente per andare ad allestire la mia, dove esporrò quelli che, comunemente, sono chiamati da tutti “I ciùsce d’ Gnora Antnetta”. Allestisco la bancarella insieme a mio marito Antonio, che continua a dirmi cosa devo fare, però non lo ascolto e decido come sempre di fare a modo mio perché penso che faccio sempre tutto nella maniera più giusta. -Antneee, guarda qua! Mo casca tutt!-dice urlando mio marito, -Antò,so io comm addenga fa, cuciti la bocca!-dico mentre sistemo delle sallecche dentro il cesto.La nostra bancarella è posta vicino ai muraglione che si trova sopra la chiesa. Mi sveglio di buon’ora, finalmente è il giorno di Sant’Antone! Il17 Gennaio 1970. Mi alzo entusiasta e mi accorgo che Antonio è già sceso di sotto. Mi precipito giù in cucina piena di gioia e preparo la colazione; prima di tutto, con mio marito ci scambiamo gli auguri, perché entrambi portiamo il nome del santo; quindi vado a vestirmi: indosso un abito fresco di bucato, il grembiule nuovo e il fazzoletto in testa perché fa freddo. Appena usciti da casa, vediamo già molta gente radunata sopra la collina, alcuni portano i propri animali a benedire, come galline, mucche e maiali. A quel punto Antonio esclama –Uhh, Antnè, me so dimenticat de prende la gallina pe falla benedì!-dice mettendosi le mani alla testa -Te pareva, va’, corri a prenderla!- Nemmeno finisco la frase che mio marito già corre verso casa per prendere l’animale. Arrivata alla bancarella mi sistemo e, dopo aver poggiato il cesto a terra, arrivano subito dei bambini che mi chiedono entusiasti –Ma quali frutti sono i ciùsce?- Io, con un gran sorriso, li elenco tutti:- sacchelle, nocelle, sementi, castagne secche, mosciarelli, fichi secchi, gèggeri, prugne, visciole secche, mele fresche o secche, arance, mandarini, noci, nocchie, mandorle, lupini, olivi, fave arrostite e salate, uva passa e albicocche essiccate-dico indicando ognuno dei frutti; alla fine aggiungo-Viene tutto 10 lire all’etto-. Dopo aver ascoltato con attenzione, un altro bambino chiede-E come si seccano?- -Si seccano d’estate, si mettono su delle retine e si lasciano tutti i giorni ad asciugare al sole e si tolgono prima che il tempo diventi umido, affinché raggiungano la giusta essicatura-rispondo in maniera gentile e dando tutte le risposte alle loro domande. Verso le dieci del mattino vicino al mio banco, ormai, da tanti anni si siede con una piccola sediolina di legno un cantaproverbi, un uomo che conosce a memoria tutti i proverbi legati alla festa di Sant’Antone. Con i suoi detti popolari attira molte persone, soprattutto bambini, che rimangono affascinati dai suoi gesti e dalle sue parole -A Sant’Antone ogni pellanca fa gli’ oue,A Sant’Antone allonga ‘n’ora e A ciùsce èu unùte e a ciùsce se n’èu ite!- Il cantaproverbi è un uomo simpatico di circa settanta anni; ha lunghi baffi bianchi e pochi capelli. Piuttosto corpulento, indossa sempre camicie, pantaloni con bretelle, una coppola di lana quadrettata e un giaccone pesante blu scuro. Arriva barcollando un po’, ha sotto braccio la sua piccola sedia di legno; la posiziona e, dopo essersi seduto, mi saluta-Wee, Antne, comm va?- -Bah, Vincenzì, si tira a campà- Dico mentre gli preparo un sacchetto di frutta secca; glielo consegno tra le sue mani gelide e lui mi dice gentilmente-Graziedopo di che comincia a cantare i suoi soliti proverbi, facendo ogni tanto una pausa per sgranocchiare i ciùsce. Mentre vendo i deliziosi frutti secchi, arriva davanti al Cantaproverbi una scolaresca di seconda elementare. I bambini rimangono incantati da Vincenzino; la maestra, che si è fermata davanti al mio banco, ha comprato loro i ciùsce per la merenda. Verso il primo pomeriggio prende inizio la tradizionale “Benedizione degli animali”. Questo rito avveniva sempre dopo che erano state celebrate le numerose Sante Messe in onore al Santo. Scendo dalla mia postazione e raggiungo mio marito nella piazza dell’Ortara. Già dall’alba molta gente aveva portato con sé animali di ogni specie da benedire: maiali, muli, asini, cavalli, mucche, pecore, galline, capre, pappacce, piccioni, conigli, oche e molti altri ancora. Tra questi animali ci sono anche le colombe, portate a benedire dal CAI ( Club Alpino Italiano) di Sora, perché questi Alpini sono molto devoti al Santo. Dal muretto della chiesa, il prete impartisce la benedizione con la reliquie del santo; dopo essere state benedette, le colombe vengono liberate nel cielo. Subito dopo la benedizione degli animali, la chiesa e il piazzale antistante si riempiono di gente, che compra i ciùsce e ascolta la tradizionale banda di Sant’Antone, composta dalzampogna, pifferi, flauto dolce, tamburo e fisarmonica. Insieme, gli strumenti intonano la canzone di Sant’Antonio, un canto popolare che tutti conoscono:

“Sant’Antonio Dio giocondo

Va nominato per tutto il mondo.

Chi lo tiene per suo avvocato

Da Sant’Antonio sarà aiutato

Sant’Antonio alla sua casetta

Gli comparve una bella donna.

Ce lo disse in armonia:

“Stiamo tutti in compagnia”.

Sant’Antonio era romito

Colla barba tutta sbianchita.

Chi ce deva un bicchiere di vino

Gli bevemmo in compagnia.

Se ce date uno pezzo di cacio

Lo mangiamo in santa pace.

Se ci avete le vaccarelle

Sant’Antonio ve l’aiuta.

Sant’Antonio era romito

E di lutto andava vestito,

Porta l’abito da frate,

Questo è Sant’Antonio Abate.

Tra i suoni, i profumi e l’allegria generale, la festa di Sant’Antonio, che ormai è parte della nostra tradizione sorana da moltissimi anni, continua tranquilla per tutto il pomeriggio e tutti si godono il tiepido sole di Gennaio, quel sole che ha sempre sorriso alla nostra festa.

Sora,17 Gennaio 1970

Bibliografia: Iorio Tonino, Sant’Antonio, Sora, 2002

Antonellis Bruno, La Pietra Bruno, Meglio Lucio, Rea Romina, La chiesa di Sant’Antonio Abate, Sora, 2016

Di Stefano Pietro Paolo, La voce del cuore, Sora, 2010

Merlo, Fonologia del dialetto di Sora, Forni, 1920

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