Per decenni abbiamo cercato pianeti simili alla Terra nei recessi dell’universo, con ogni mezzo a noi concesso. Trovarne sette, per di più a soli 40 anni luce da noi, è un po’ come fare tombola.
I sette pianeti, denominati Trappist 1 b, c, d, e, f, g, h, sono stati tutti individuati con il metodo del transito in tempi diversi (i primi tre grazie ai telescopi del progetto TRAPPIST, da cui il nome, i restanti con la collaborazione del Very Large Telescope e del telescopio spaziale Spitzer). La loro densità varia dal 60% al 117% di quella terrestre, le loro dimensioni dal 75% al 110% di quella della Terra. Tre dei sette pianeti si trovano nella cosiddetta fascia di abitabilità, in cui è possibile la presenza di acqua allo stato liquido.
Come abbiamo fatto a non vederli prima? Ci è sfuggito così facilmente un secondo Sistema Solare a due passi da noi? In effetti, le ricerche di esopianeti non hanno mai preso in seria considerazione sistemi come Trappist 1. Questo semplicemente perché Trappist 1a è la stella più diversa dal nostro Sole che si possa immaginare: una stella di tipo M.
Le stelle di tipo M sono piccole e fredde. In termini astronomici, questi due aggettivi hanno ovviamente un significato tutto particolare e altamente relativo. Le dimensioni e la temperatura della stella Trappist 1a ci obbligano a rivedere anche la nostra scala: i sette pianeti rocciosi del sistema Trappist 1 sono molto più vicini dei pianeti del Sistema Solare, al punto da somigliare al sistema di lune dei nostri grandi pianeti gassosi. I loro periodi di rivoluzione sono molto brevi e, sulla loro superficie, un ipotetico osservatore vedrebbe l’astro molto più grande del Sole visto dalla Terra (perché più vicino) e di un colore rosaceo (perché più freddo).
Su scale cosmiche, Trappist 1 è l’appartamento dirimpettaio a cui non abbiamo mai fatto troppo caso. Su scale comuni, questo vuol dire che la luce impiegherebbe 40 anni per arrivare da un sistema all’altro e 80 anni per l’andata e ritorno. 80 anni non sarebbero un problema, se si dovesse inviare una sonda in esplorazione. Molte missioni, anche nel nostro sistema solare, hanno avuto durate considerevoli e una missione seguita da più generazioni di scienziati potrebbe essere la prova generale per un nuovo modo di concepire le missioni spaziali. Il problema è che non esiste una sonda capace di coprire la distanza Terra – Trappist 1 in 40 anni: solo la luce potrebbe. La più veloce delle sonde di oggi, anche sfruttando l'”effetto fionda” della gravità di Giove o di altri grandi pianeti, impiegherebbe decine di migliaia di anni per arrivare a destinazione.
Per gli standard odierni, una simile missione non è fattibile. In futuro potremo però diminuire la durata di un simile viaggio: il limite inferiore invalicabile è di 40 anni. Un tempo del tutto ragionevole, date le distanze incredibili dell’universo.
La domanda più ovvia è, a questo punto: potremmo aver trovato finalmente la sede di una civiltà aliena?
La risposta non può che essere: possibile, ma molto improbabile.
Trappist 1 è un sistema giovane, formatosi appena 500 milioni di anni fa. In termini astronomici, si può dire che abbia smesso “ieri” di formarsi: improbabile, se non impossibile, che una civiltà vi sia nata “dall’oggi al domani”. Questo, almeno, guardando indietro alla nostra esperienza sulla cara vecchia Terra, con i suoi quattro miliardi di anni di storia. Una stella di tipo M è uno scenario del tutto diverso, un sistema solare in scala. Forse, anche nei tempi.
Su questo, però, non abbiamo elementi consistenti per rispondere. Rimandiamo le nostre curiosità a quando gli scienziati ci aggiorneranno sulle tante sorprese che di certo Trappist 1 tiene in serbo per noi.
Davide Ferri