Siamo sempre stati esortati a non dimenticare gli orrori della Shoah ma, ad oggi, c’è purtroppo molta ignoranza, o meglio, disinteresse verso questi argomenti. Per molti la Giornata della Memoria è una data qualsiasi. Forse perché la si pensa distante dai nostri giorni, le persone si ritengono sufficientemente informate sapendo semplicemente che Auschwitz era un campo di sterminio. Ma, soprattutto per noi giovani, approfondire altre terribili realtà di quegli anni, potrebbe essere uno stimolo all’interessamento. Quanti, ad esempio, conoscono Terezin? Quanti sanno a chi era destinato questo campo?
Da città-fortezza a ghetto
Terezin, in tedesco Theresienstad, è una città della repubblica ceca, nata tra il 1780 e il 1790 come città-fortezza. Fu voluta da Giuseppe II d’Austria che le diede il nome in onore di sua madre Teresa, da poco deceduta. Nel 1940 la Gestapo (polizia segreta della Germania nazista) prese il controllo della fortezza adibendola a ghetto, anche se in realtà serviva come campo di transito degli ebrei. I prigionieri, spesso senza saperlo, attendevano qui il viaggio che li avrebbe portati in altri lager, verso la morte. Inoltre, secondo i piani nazisti, il campo di Terezin aveva il ruolo di nascondere al resto del mondo l’imminente sterminio degli ebrei.
L’inganno di Terezin
Per capire bene questa funzione del campo, è importante prendere in considerazione l’ottobre del 1943. In quel mese, infatti, le autorità naziste, sotto le richieste del governo danese, concessero ai rappresentatnti della Croce Rossa internazionale di visitare il campo. La visita avverrà solo sei mesi dopo perché i tedeschi avevano bisogno di tempo. Tempo per rimediare alle condizioni di sovraffollamento, di sporcizia e di quanto altro avveniva all’interno del ghetto. Faranno tutto il necessario perchè l’inferno sembri un paradiso. È proprio per questo che, il giorno prima della visita, manderanno 7’500 ebrei a morire ad Auschwitz perché ritenuti impresentabili. Gli ebrei rimasti furono distribuiti nelle stanze, verniciate per l’occasione, in modo che ognuno potesse avere uno spazio accettabile. Furono allestiti addirittura dei negozi provvisori: tutto faceva pensare, così, che Terezin fosse un luogo accogliente. Lo scopo dei nazisti era quello di evitare le visite in campi ben peggiori. Durante la loro visita, i rappresentanti della Croce Rossa poterono assistere all’opera musicale Brundibar composta dal deportato Hans Krása. L’opera fu eseguita dai bambini del campo e riscosse molto successo. Il 26 febbraio 1944 i tedeschi iniziarono le riprese di Brundibar poichè volevano crearne il film a scopo propagandistico. Al regista Kurt Gerron, anch’esso ebreo, fu promessa la liberazione. Invece, dopo aver terminato le riprese, Gerron fu mandato a morire nelle camere a gas di Auschwitz, assieme alla maggior parte degli attori, che ricordiamo essere bambini. In questo modo i tedeschi avevano un film che mostrava il benessere degli ebrei sotto la protezione nazista e non dovevano preoccuparsi della trapelazione di notizie scomode. I nazisti erano riusciti ad ingannare il mondo: nessuno sapeva l’orrore che stavano compiendo. È per questo che le testimonianze che ci sono arrivate da questo campo sono così importanti.
Il benessere illusorio
Terezin è conosciuto come il ghetto dei bambini poiché era uno dei pochi campi che prevedeva uno spazio per loro: su 140’000 internati, 15’000 erano bambini. Insieme a loro vi erano rinchiusi personaggi importanti (musicisti, attori …) la cui improvvisa eliminazione sarebbe stata vista con sospetto. Terezin divenne paradossalmente un luogo di grande cultura: molto spesso i tedeschi incoraggiavano iniziative artistiche anche se, come abbiamo già visto, era tutto un teatrino che permetteva loro di restare impuniti. La vita nel campo era molto difficile a causa della scarsità di cibo, delle pessime condizioni igieniche (che porteranno ad una devastante epidemia di tifo), e delle disumane condizioni di detenzione. Le sofferenze, per i bambini, erano le stesse dei deportati più grandi e proprio per questo gli adulti cercavano di rendere il macabro soggiorno più sopportabile organizzando clandestinamente lezioni scolastiche. Le 60 poesie rinvenute, assieme ai 4’000 disegni che ci hanno lasciato, sono oggi un’importante testimonianza.
Testimonianze
Eva Picková, una bambina di dodici anni morta nel campo, scrive in una sua toccante poesia: “Di nuovo l’orrore ha colpito il ghetto/ un male crudele che ne scaccia ogni altro./ La morte, demone folle, brandisce una gelida falce/ che decapita intorno le sue vittime./ I cuori dei padri battono oggi di paura/ e le madri nascondono il viso nel grembo./ La vipera del tifo strangola i bambini/ e preleva le sue decime dal branco./ Oggi il mio sangue pulsa ancora,/ ma i miei compagni mi muoiono accanto./ Piuttosto di vederli morire/ vorrei io stessa trovare la morte./ Ma no, mio Dio, noi vogliamo vivere!/ Non vogliamo vuoti nelle nostre file./ Il mondo è nostro e noi lo vogliamo migliore./ Vogliamo fare qualcosa. È vietato morire!” La vera realtà di Terezin è questa, e a presentarcela è una bambina. È raccapricciante pensare a quello che vivevano alla loro età: un bambino non dovrebbe mai desiderare la morte, neanche per un solo istante. La triste verità è che loro, qui, non erano bambini, ma solo numeri destinati alla cancellazione. Non venivano fatte distinzioni: gli uomini non erano più uomini, ma esseri inferiori accomunati dallo stesso destino. La maggior parte delle volte non si era nemmeno a conoscenza di questo destino già scritto nella mente folle dei nazisti. Non lo sapeva nemmeno la scrittrice ebrea di lingua tedesca Ilse Weber. Fu trasferita nel campo di sterminio di Auschwitz insieme a suo figlio e ad altri quindici bambini di cui si prendeva cura nell’infermeria di Terezin. Mentre faceva la fila per quelle che tutti credevano essere delle docce, fu riconosciuta da un vecchio detenuto di Terezin. Ilse gli chiese se potevano davvero fare la doccia dopo un viaggio così lungo e lui, sottraendosi all’attenzione delle guardie, le disse la verità. Le consigliò di entrare subito, sedere per terra e di cantare insieme ai bambini una ninna nanna in modo da inalare il gas e morire il più in fretta possibile. Un consiglio terribile, eppure comprensibile, perché se non fossero morti subito, sarebbero stati uccisi nel panico generato dai compagni di pena. Da quel giorno, questa ninna nanna (Wiegala) composta da Ilse, fu cantata da altri bambini prima di entrare nelle camere a gas di Auschwitz. Come scrive la traduttrice delle sue opere Rita Baldoni nel testo “Ma quando avrà fine il dolore”, Wiegala rimase nella memoria dei sopravvissuti come simbolo del massacro degli innocenti.
Dei 140’000 internati a Terezin, 33’000 morirono lì a causa delle pessime condizioni di detenzione e 88’000 furono deportati verso i ghetti orientali e nei campi di sterminio. Sopravvissero a questo lager 17’000 persone, di cui solo 100 bambini che, più deboli degli altri, non ce l’hanno fatta. Se paragoniamo questi numeri ai 6’000’000 di ebrei uccisi, notiamo che Terezin non è stato altro che un modesto contributo al piano di annientamento nazista. Come possiamo vedere dalla foto, Terezin era solo un piccolo punto sulla carta geografica dell’orrore.
Elisa Venditti