«È un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l’umanità» il primo passo di Neil Armstrong sulla superficie intatta e disabitata della Luna. Un passo giustamente passato alla storia, non solo per essere il coronamento di anni di sforzi e il simbolo della vittoria di una nazione su di un’altra nella corsa allo spazio: quello è stato il primo passo mosso da un uomo sulla superficie di uno dei miliardi e miliardi di corpi celesti che esistono fuori dalla Terra, l’inizio di un’epopea di esplorazioni, scoperte, tentativi, successi, fallimenti, sorprese destinata a durare quanto la futura storia umana.
Mentre la NASA pensa a Marte, l’uomo sogna gli spazi interstellari. Complici i voli della fantascienza e l’impulso che da sempre proviamo a guardare in alto al cielo notturno, desiderosi di toccare con mano ciò che è oltre i nostri limiti. Ma la fisica sembra bloccare crudelmente ogni nostra fantasia: le distanze dello spazio sono enormi, spropositate. La luce impiega eoni per coprirle, e nulla può viaggiare più veloce della luce. Il sogno più grande del genere umano, esplorare l’inesplorato, abortito dalla scoperta più grande dell’ultimo secolo di ricerca scientifica: dobbiamo rassegnarci per l’eternità alla luce del nostro Sole e a quei miseri otto pianeti e mezzo che vi orbitano intorno?
La fantasia, più o meno supportata da basi scientifiche serie, ha proposto una serie di sistemi per ovviare al problema. Salvo poche eccezioni, la soluzione “fantascientifica” si può però dividere in due filoni, non sempre facilmente distinguibili: il “Gran Salto” e il “motore a curvatura”.
Il Gran Salto è l’evoluzione di una risposta insoddisfacente. La prima idea, infatti, che si affaccia nella mente quando si tratta di coprire grandi distanze in un attimo è il teletrasporto. Poi ci si ragiona un secondo e si nota che, anche trasformando in pura energia ogni particella del nostro corpo e spedendola lungo distanze enormi, la massima velocità raggiungibile sarà la velocità della luce. La soluzione? Evolviamo il metodo: non più teletrasporto ma “salto”, passando al di fuori dell’universo, girando intorno allo scomodo posto di blocco delle leggi fisiche e facendola franca, grazie a quel luogo non meglio precisato che, nella letteratura, ha ricevuto il nome di iperspazio.
Già non serve un esperto per sentire odore di bufala attorno a questo grande classico della fantascienza. Senza neanche andare a cercare di capire se esista un iperspazio, il che potrebbe diventare una questione fisico – matematica abbastanza scottante, l’idea di staccarci dal nostro buon vecchio spazio per sfruttare i recessi dell’iperspazio ci ricorda un po’ il tentativo di quel povero quadrato di uscire da Flatlandia o di indicare agli altri abitanti piani la direzione della terza dimensione: “in alto, ma non verso il nord”. Un bel punto interrogativo.
Se poi pensiamo a questo iperspazio come vero e raggiungibile, ancora non ci è ben chiaro come muoverci in esso. Anche la faccenda secondo cui i nostri spostamenti nello spazio diventerebbero così istantanei appare perlomeno fumosa: se potessimo raggiungere un punto sulla sfera terrestre da dove siamo ora passando per una linea retta sotterranea, il nostro viaggio non sarebbe certo istantaneo. Anzi, non sarebbe poi molto più breve.
L’idea del motore a curvatura è più interessante. Si basa su una consapevolezza molto giovane nella storia della scienza: l’universo si può curvare e, anzi, effettivamente si incurva per effetto della sola presenza di ogni oggetto dotato di massa. Se un’astronave potesse allora contrarre lo spazio davanti a sé ed espandere quello dietro, potrebbe viaggiare senza problemi per distanze enormi. In fondo, sarebbe lo spazio a muoversi, non la nave.
Sulla natura dello spazio, però, sappiamo ancora troppo poco. Esiste anche per lo spazio vuoto una velocità massima alla quale si muove e che non può essere superata? Cosa succederebbe all’universo se venisse deformato in questo modo? Cosa succederebbe all’astronave? E al tempo? Anche la linea temporale, molto probabilmente, subirebbe la curvatura. Come passerebbe il tempo a bordo della nostra astronave?
Oltretutto, non abbiamo la minima idea di come alterare il tessuto dell’universo fino ad ottenere un risultato del genere. Neanche sappiamo se sia fattibile o conveniente.
La scritta «non plus ultra», incisa sulle nostre Colonne d’Ercole, sembra sempre più dire il vero.
Siamo abituati a viaggiare in un certo modo, finora mai davvero cambiato da quando abbiamo mosso i primi passi sul nostro pianeta. In futuro, gli spostamenti interstellari potrebbero richiederci visioni del tutto nuove.
Una stella potrebbe distare da noi duecento anni luce. Vuol dire che, alla velocità limite di trecentomila chilometri al secondo, impiegheremmo duecento anni per raggiungerla e, ovviamente, a velocità minori impiegheremmo molto di più… o no?
L’equipaggio di un’astronave che viaggi al 99% della velocità ultima potrebbe sbarcare su un sistema lontano in qualche mese. Incredibile? Sono i paradossi della relatività.
Supponiamo che la nostra astronave stia viaggiando a 200000 chilometri al secondo. A bordo, c’è una sorta di corridoio di lancio per sparare razzi alla velocità (relativa al sistema inerziale dell’astronave) di 200000 chilometri al secondo. Rispetto ad un punto che diciamo “fermo” nello spazio esterno, uno di quei razzi si starebbe muovendo ad una velocità pari alla somma della sua velocità relativa all’astronave e della velocità dell’astronave stessa rispetto al nostro “punto fermo”. La sua velocità sarebbe quindi di 400000 chilometri al secondo, ben maggiore della velocità della luce!
È possibile? Ovviamente no. La natura ha un sistema per impedire un simile paradosso, un sistema semplice ed efficace.
A bordo dell’astronave, il tempo rallenta di quel tanto che basta perché un paradosso del genere non possa verificarsi. Questo accade anche a basse velocità, ma è un fenomeno largamente trascurabile. A velocità molto prossime a quella della luce, però, non è più così.
Un’astronave potrebbe coprire una distanza di duecento anni luce in poco meno di duecento anni, ma allora per l’equipaggio sarebbe passato molto meno tempo, un tempo perfettamente compatibile con una vita umana. E non sarebbe un’impressione: è davvero così.
La stessa velocità della luce, che sembra essere un ostacolo, fornisce una possibile risposta al nostro problema. È possibile viaggiare tra le stelle.
Con un solo effetto collaterale: essendo un viaggio non solo nello spazio, ma anche nel tempo, sarebbe assolutamente senza ritorno. Un salto di sola andata nell’infinito.
Ferri Davide