“Così mi sono ritrovato a raccontare di persone che hanno rischiato la loro vita con gesti eroici, o hanno sacrificato la loro esistenza al servizio degli altri, oppure, più dimessamente, hanno condotto un’esistenza umile e silenziosa, intrisa di sacrifici e ristrettezze, nell’anonimato più assoluto.”
Cominciamo subito con le domande. Sappiamo che la scrittura non fa parte del suo settore lavorativo. Qual è, quindi, il suo rapporto con essa?
Personalmente, percepisco la scrittura come un elemento significativo di introspezione e di “protesi”. Di introspezione, in quanto mi permette un lungo viaggio dentro me stesso che, al di là di ogni funzione terapeutica, ha la valenza di raccontare chi sono, attraverso tutti quei sentimenti, quelle passioni, quei ricordi che hanno tracciato la mia vita e che la quotidianità tende ad obnubilare, a cancellare.
Perché ha deciso di scrivere riguardo questo argomento? Quanto sente propri i temi trattati?
Sin da bambino, mi hanno sempre affascinato i racconti e le vicende degli “umili”, per dirla con Manzoni, ossia di quelle persone che non fanno la storia, di cui non vi è traccia nei libri, pur partecipando, ogni giorno, al suo costruirsi. Umili, come nel caso del mio libro, che vivono anche in una “marginalità geografica”, in un piccolo paese dove della storia, quella con la S maiuscola, si è solo spettatori passivi.
Molti sono stati gli incontri con l’autore organizzati dalla nostra scuola e, a questa domanda, abbiamo ricevuto risposte differenti. Ora chiedo a lei: quanto di autobiografico è presente nel suo libro? Oppure preferisce prendere le distanze da quello che scrive?
La scrittura, al di là di ogni colloquio con gli autori conosciuti attraverso la loro opera, è sempre autobiografica, anche quando ha forti connotazioni impersonali, perché è sempre un guardare il mondo attraverso se stessi. Quando si scrive, si racconta sempre una parte di sé.
Quali sono, se ci sono, i suoi modelli letterari? Pensa che una bella scrittura nasca necessariamente da una lettura costante?
Assolutamente sì: ogni scrittura, per essere definita tale, non può non nascere da una lettura costante di altri autori. Questo è vero per i grandi scrittori, ma è vero anche per uno come me, che non sono né uno scrittore e né, tantomeno, un “grande”. Io non ho una Laurea e nemmeno un Diploma di Scuola Superiore; nella vita, fin da ragazzo, per varie vicissitudini non dipendenti dalla sola mia volontà, il mio mondo è stato quello del lavoro (sono un artigiano, un meccanico per la precisione). Eppure non ho mai smesso di leggere. Non c’è stato un giorno della mia vita che, malgrado tutto, non sia stato accompagnato da qualche ora di lettura. Così ho scoperto il fascino di tanti autori, tra cui Frédéric Dard che ho imparato ad amare in modo particolare.
Cosa L’ha spinta a mettere il tutto per iscritto? Sta pensando a nuovi lavori?
La mia grande ossessione è quella di sottrarre all’insesorabile oblio del tempo, che tutto cancella, la bellezza di tante esistenze passate, seppur appartenenti, come ho già detto, a persone umili. Per questo, trovo in me tanta motivazione e determinazione a proseguire il mio personale cammino letterario che è, ripeto, anche introspezione e “protesi”. Nella mia testa si sta concretizzando un nuovo progetto che potrebbe risultare l’ampliamento e l’approfondimento del primo.
Molto interessante è stato l’ascolto delle sue parole: le sue considerazioni sono davvero molto profonde. Oggi abbiamo avuto la possibilità di entrare a contatto con un altro aspetto della letteratura, composta da testi nati per caso, senza un obbligo editoriale, ma che sono, proprio per questo motivo, i più veri e sentiti. La ringraziamo per aver dedicato il suo tempo a questa intervista e speriamo di poter nuovamente leggere il suo nome sulla copertina di un libro.
Francesca Venditti